La fascinosa avventura di un «archeologo dello spirito». Dino Terra e «Una storia meravigliosa»

«Cosa c’è dietro l’uscio del domani? A che siamo destinati? Ma se davvero ogni particolare fosse per noi già predisposto, se è vero, come la scienza prova, che il tempo è solo una sezione di spazio, allora perché tante ansie e fatiche e pene acutissime? Del resto, sarà meglio non esagerare la nostra importanza» (p.15). Questo l’incipit di Una storia meravigliosa, romanzo che Dino Terra scrive nel 1964, quando, in piena maturità artistica, non smetterà di riflettere sugli stessi fondamentali temi – il valore della presenza dell’essere umano, le sue contraddizioni, le diverse estensioni dell’amore, la ricerca dell’amore come conoscenza e avanzamento di sé, le ragioni del male ecc. – di un giovanissimo Armando Simonetti (pseudonimo di Dino Terra) agli esordi. Basti pensare ai drammi L’amico dell’angelo e Riflessi. Storia di Uno, testo fra teatro e prosa, entrambi del 1927 [1], a Ioni (1929) [2], Profonda notte (1932) [3], tanto solo per citare alcune primissime opere dell’autore.
Per Terra l’essere umano resterà «un irrisolvibile pasticcio» e «la sua posizione nell’universo e nell’ordine della natura rimane misteriosa» [4] scriverà ad anni di distanza in Eteromorfismo. Una guida al viver civile (1975). Così dopo secoli di evoluzione, di educazione e di cultura, l’uomo cos’altro può fare se non «correggere» i propri «errori» e applicarsi ad «una cura demitizzante e chiarificatrice» per rendere le sue «giornate più piacevoli»? [5].  
È nel segno di questo mistero, è nel segno di un’irrinunciabile inclinazione al piacere come conseguenza, diremmo con Leopardi, dell’amor sui e della propria conservazione, che Terra innesta e indaga il senso dell’avventura. Avventura in quel significato profondo che viene dato da Simmel: non fatto accidentale, ma momento temporale finito che stabilisce i propri confini, «un’intangibilità» fuori dalla successione del prima e del dopo, eppure pienamente connessa con il nucleo della nostra esistenza. Avventura determinata e significata «dall’impulso di una vita che dà forma a se stessa dal proprio interno». Un’«extraterritorialità rispetto al continuum della vita» che diviene forza formatrice «legata all’essenza e al destino del suo soggetto da un senso molto ampio […] e da una misteriosa necessità» [6].
Curiosamente in Ioni, fonte di ispirazione di una Storia meravigliosa, pur nelle diverse soluzioni adottate a partire dalla divisione in macro-sequenze narrative del primo, influenza della sperimentazione di Gide di Les Faux-Monnayeurs (1925), o per la presenza del demone che rinvia ad una più forte tensione fra il favoloso-fiabesco e il romanzo [7], Terra scriveva in funzione di sottotitolo: Qualche tempo di due umani e d’un demoneStoria con avvenimenti rari normali curiosi e straordinariPiù delle considerazioni e altre cose interessanti. Si noti come queste indicazioni siano già rivelatrici dell’indagine di Terra intorno all’idea di avventura: l’avere principio e una fine (Qualche tempo), la presenza stessa del lessema avvenimenti (dal latino ad-venio, «venire a noi», da cui la stessa av-ventura), il senso dell’eccentricità, della particolarità. Persino la disposizione aggettivale (rari rimanda non solo al poco frequente, ma anche ad uno spazio aperto e arioso, un esterno dunque che ancora non ci appartiene; normali attiene ad un ordine, qualcosa di conosciuto, già fatto nostro; curiosi: è curioso tutto ciò che desta un desiderio di conoscenza; straordinari da extraordinarius composto da extra e ordo: fuori dall’ordine) sembra suggerire un movimento tra un dentro e un fuori proprio dell’avventura, per il significato espresso pocanzi.
Come sottolinea Daniela Marcheschi analizzando l’elemento del meraviglioso in Ioni, questi avvenimenti che accompagnano «il racconto», «la Storia», determinandone «il modo», segnano un’apertura del quotidiano «al caso […] o all’improbabile; a quanto non si vede ma c’è» [8]. Ecco, proprio questo, oltre a tutto un mondo di matrice shakesperiana, caratterizza a nostro avviso anche il valore dell’avventura come quell’esperienza, alla maniera di Simmel, «dalla sfumatura incomparabile che può essere interpretata soltanto come un modo particolare in cui l’elemento interiore e necessario comprende quello casuale ed esteriore» [9]. Una ricerca speculativa, questa, che si farà esplicita in Le ricerche amorose (storie originali fino al paradosso che risalgono al 1942), là dove Atalanta, l’inviata speciale in terra a studiare l’uomo e la sua capacità d’amare, a verificarne i cambiamenti dopo secoli di civiltà, individuato il giusto soggetto, uccide l’uomo e, in una narrazione fra mito e favola, ne coglie l’anima via via spremendone «il succo delle avventure sentimentali» [10].


Sempre un po’ più in là, sull’orlo del possibile

In Una storia meravigliosa [11] l’avventura è quella di Agata e Riccardo. Li vediamo girare in macchina per Roma, ad Anzio, fra le belle ville di Frascati, a Nemi, al Castello di Bracciano. Riccardo, professore di Storia, è nella capitale in visita alla figlia Nucci, sposata e madre a sua volta, mentre Agata, che di Nucci è l’amica, è l’ospite che si vuole far divertire, a cui presentare nuove persone, perché sarebbe quasi in età da marito. Tra Agata e Riccardo è subito simpatia, gioco, vitalità delle parole, delle confidenze. Dopo la sorpresa di un’amicizia, arriva per loro la passione, nonostante la differenza di età, e, ancora una volta, l’autore esplora l’inquietudine dionisiaca, l’energia creatrice che, alla maniera di Nietzsche, rende l’uomo padrone di sé stesso, l’eros come liberazione che guida l’azione dei suoi personaggi nel tentativo di costruirne in modo progressivo l’identità. Questi «occasionali», termine che Terra usa individuando il senso della precarietà dell’essere umano – «Siamo gli occasionali, per breve tempo arruolati/nella condizione di ritti» (vivi) [12] –, queste identità provvisorie continuamente modificate dal tempo, diventano ancora una volta casi universali. Lo avevamo già visto con L’amico dell’angelo: fuori da ogni mitizzazione della realtà, diversamente per esempio dal Bontempelli di Nostra Dea (1925), dove l’occasionalità è, ad ogni cambio d’abito, muta personalità senza ricordo, Terra lascia che i suoi occasionali abbiano memoria del loro vissuto, di ciò che sono stati, affinché, con Bergson, la memoria riversi nel presente il ricordo, sia funzionale a un’integrazione della situazione attuale, qualunque sia l’esito, la scelta libera di fronte all’occasione del destino[13].
Espressione di questo vitalismo e incaricata della ricerca volta alla conquista di sé attraverso l’amore è anche qui la donna: una “Bella ed Elegante giovane” che, come in L’amico dell’Angelo, è spinta ad ogni istante a valorizzarsi nella libera coscienza della propria verità. Chiamata ad assecondare la natura, innocente, ma anche crudele, dell’amore, come vuole un Nietzsche assorbito dall’autore di pari passo alle letture freudiane, Agata assomiglia un po’ anche alla «Bella indagatrice» delle Ricerche amorose: è colei che vuole andare incontro alla ragione nascosta delle cose. Ma invece di suggere tutti i segreti dall’anima «dell’animale amoroso» sotto osservazione, come fa Atalanta, cerca e gode direttamente dei frutti della carne. Nell’incertezza delle nostre vie, alla maniera di Gide delle Nourritures terrestres (1897),si fanno, questi frutti, per lei esperienza, scoperta e nutrimento. È lei ad incanalare i momenti della propria esperienza, anche i più accidentali, costantemente verso un centro unificante interiore, è lei per eccellenza l’avventuriero che «applica un sentimento centrale della vita», che sa connettere l’estraneità al nucleo «datore di senso dell’esistenza» creando «una nuova, significativa necessità» [14] alla vita medesima. Per Agata il piacere e la gioia dei sensi sono parte di un processo di crescita, consapevolezza, avanzamento di sé: «l’accensione dell’eros l’aiutava ad avvicinarsi a un superamento agognato, andar di là, più in là, nella luce, quasi una cieca talpa che scavasse furiosamente in se stessa per arrivare finalmente a una vista acuta» (p. 146). La sua avventura non teme sconfitta. Si pone sul piano di una profonda conoscenza, è nel segno di un costante dinamismo della ricerca. Così era già per la Bella ed Elegante Giovane in L’amico dell’angelo dove si poteva chiaramente cogliere come per Terra, a differenza del teatro di Rosso di San Secondo, penso per esempio a L’avventura terrestre (1925), l’esperienza d’amore non solo va attraversata fino in fondo, ma diventa fondamentale anche di fronte alla sconfitta. Non viene anticipata, questa, in quella certezza del male del vivere, è piuttosto problematizzata [15].
Agata inaugura, insomma, la vita ad ogni istante, spingendola sempre un po’ più in là «contro la noia d’una realtà fatta di volgari interessi», giocandola «sull’orlo del miracolo o del possibile» (p. 159), fino a recitare il ruolo «della creatura sopraterrena» per abbagliare il suo eroe.
Tuttavia, se è pur vero che è lei a far fiorire lo stato di grazia, la giovane donna ad un tratto pare aver dimenticato che questa condizione che ingentilisce «il peso della materia» e delle convenzioni, come ricordava Ebe del romanzo La Grazia (1941), è uno «scorrere il mondo con i labili fili dei nostri giri», e non attiene nemmeno alle Grazie «indagare le ragioni delle ragioni» [16]. E a ben vedere, persino Atalanta (Le ricerche amorose), spaventata dalle mostruose visioni, immagini del carattere delle umane creature in cui si imbatte, implora Dionisio di toglierle quella vista così lunga, un eccesso di comprendonio cheavverte come intralcio al suo lavoro di giornalista.
Agata «avrebbe voluto i numeri esatti rispondenti ad ogni problema», avrebbe voluto trovare «un grimaldello adatto a ogni tipo di porta» (p. 59), e proprio per questo perderà via via quel valore del comprendere come interazione equilibrata di sapere ed essere. Arrischiandosi a non elaborare criticamente, e con pazienza, il senso del limite, si inoltrerà sempre più, tra una brama di conoscenza e l’altra, in un processo di distorsione percettiva, in un’alienazione fuorviante. Insisterà nella sublimazione «del fuori tempo» – quello che considera cioè tempo miracoloso –, nella ricerca di «reami favolosi»: una promessa che avvertirà disattesa. La sua richiesta, nella fiducia illimitata che pone in Riccardo, è forse troppo alta per lui: di fronte ai costanti interrogativi, alle stupefacenti «orchestrazioni amorose» della donna, ne resta meravigliato, ma spesso non comprende.  Riccardo, che pure ha sempre accolto senza mai negare l’amore, come un tempo invece fece l’amico dell’Angelo, rappresenta il polo diverso dal “soggettivo-intensivo” di Agata: agisce, nell’ordine estensivo, storico (non a caso è professore di Storia, forse un indizio), sente il bisogno di dare forma più obiettiva alla propria vita e alle proprie azioni. Terra non manca di riconoscere in lui quel valore della sessualità esistente solo nella relazione, non certo con quel character indelebilis [17] che ritroviamo nella donna e che Agata ben rappresenta. Come Jone, la donna ha un erotismo estremo, «e tanto è istinto e natura», un femminile che, fa già notare la Marcheschi, Cesare Pavese avrebbe successivamente «concepito» [18].


Se il chicco di grano non muore

Gli amanti ancora una volta si separano, come spesso accade in Terra. Così  già in Ioni, avventura più che mai avventurosa che sembra lasciare l’idea di essere stata un “sogno”, diventando presto dimenticanza di ciò che si è vissuto, come avviene per Ramik che propriamente si allontana anche dal nucleo del proprio io, vivendo in stato di regressione [19]; o ancora in Le ricerche amorose per quell’uomo oggetto di indagine giornalistica di Atalanta che, abbandonato dalla moglie Maria, e non più nella gioia di una «conoscenza chiara», si lascia andare avvilito, tornando ad uno stato rudimentale: «Rimasto solo, l’uomo fu debole e infantile. […] uno dei soliti gaglioffi sbrancicanti dietro ogni trastullo, fu avido di divertimenti da nasconderci la duplice miseria» [20].
Condannata qui alla regressione di una vita costretta nella convenzione banale dei giorni sarà Agata che, infine sposata a un altro uomo, si accorgerà di aver disperso nelle consuetudini della noia borghese la fanciulla autentica di un tempo.
Riccardo si rivelerà invece essere un pellegrino senza bordone, come annuncia il titolo del primo capitolo, alludendo, l’autore, forse solo in prima istanza al sentirsi estraneo del protagonista a Roma, città che non suscita più in lui le emozioni di un tempo. E anticipando piuttosto, Terra, una riflessione più complessa. Riccardo sceglierà infatti il suicidio come soluzione all’impossibilità di sostenere, propriamente, il dolore, per l’insufficienza della distrazione di altre avventure, e per la volontà di non tradire il ricordo di quell’ Agata fonte di meraviglia, sorpresa, fiore della grazia.
Non hanno saputo, nemmeno questi amanti, di quella loro storia meravigliosa declinare diversamente il valore: non ne hanno avuto cura. Avvenimenti rari, normali, curiosi, straordinari – ricordiamolo – recitava il sottotitolo terrano in Ioni, di cui Una Storia meravigliosa, lo ribadiamo, ricalca la trama: gli avvenimenti curiosi non sono semplicemente quelli che destano il desiderio di conoscenza, ma anche quelli che si prendono cura di qualcosa. Se possiamo immaginare che il termine abbia a che fare con il prendersi cura di quella parte intima di noi, nel segno proprio dell’av-ventura, per come abbiamo posto il nostro ragionamento, resta l’idea di un reciproco rimando attivo dell’intimo io verso quello stato di grazia che inaspettato ci arriva e ci chiede di averne cura. La portata dell’evento raro e inatteso può divenire così di straordinaria importanza, proprio là dove viene com-preso nella nostra quotidianità (il normale), nel segno della cura. Terra nella disposizione aggettivale sembra tracciare in Ioni così, anche, un percorso speculativo. Si ricordi che il termine cura già in l’Amico dell’Angelo più volte compariva in diverse occorrenze [21] e che è elemento oggetto di problematizzazione critica in Terra inerente il valore della ricerca amorosa.
Diventa allora chiaro che per Terra ritrovare sé stessi ha davvero a che fare con una vita operante: trovare sé stessi in ciò che si sta facendo, il mio qui che heiddeggerianamente (Essere e tempo) si fa autocomprensione a partire da un ad-venire utilizzabile, in cui l’Esserci si mantiene propriamente in quanto prendersi cura.
Cosa resta infine invece ad Agata e a Riccardo dopo aver sperimentato i quattro tempi del mito: «entusiasmo, slancio, lizza e stanchezza» [22]? Con il già citato racconto di Atalanta sapevamo che le nostre ricerche amorose possono condurre a un diverso ordine, dopo queste quattro fasi. Lo aveva sperimentato l’uomo oggetto di indagine della bella investigatrice, la quale, cercando nel passato di lui, fra un’esaltazione e l’altra della passione, scopre «l’uomo-uomo», quello più vero che lei stessa desiderava conoscere oltre «il personaggio fisiologico, ingarbugliato di rimasugli ferini; cioè un mezzo mostro di natura» [23]. C’è qui l’uomo cristiano, la coppia che miete «il grano dell’affetto» (il termine è un possibile rimando gidiano a Si le grain ne meurt (1924) ripreso dal Vangelo di Giovanni, ove si allude all’idea che per avere il pane è necessario che il chicco del grano muoia). La coppia vive quella felicità fatta di tenerezza che ammalia persino Atalanta. La fede, non più in giorni effimeri di «vuota recita di antichi simboli», è ora in un’esperienza di diversa rinascita, costruttiva, in cui si gode davvero il frutto, non più ingordamente rubato al tempo di un mito, di un’illusione.
Questa esperienza in Una storia meravigliosa rimane sospesa. Agata e Riccardo non lasciano morire quel chicco di grano a loro donato, si fanno entrambi diversamente rinunciatari, restano sulla soglia di una possibilità, infine mancata. Lontani persino dai sublimi modelli di Tristano e Isotta, «dai quali pure provengono», scrive Bassani nella nota introduttiva al romanzo, «nella loro inadeguatezza» misurano «la loro e la nostra decadenza» (p. 10).


Un baluardo stregonesco

Accade spesso in Terra che favola e mito si mescolino alla narrazione contribuendo in modo originale allo sviluppo della trama, non di rado funzionali a interpretare meglio i fatti, ad accentuare i casi, a individuare anche un nucleo etico. Terra non teme di «inquinare» il suo «realismo», a differenza delle storie raccontate da Moravia che preferisce tenere separati i piani narrativi [24]. Anche in questa storia meravigliosa, lo abbiamo già intuito, l’autore intesse la trama di elementi favolistici, ma in particolare si esplicita qui l’idea, attraverso la protagonista, dell’importanza di attingere alle favole antiche, a cui leopardianamente Terra dà vita riattualizzandone linguaggio e immagini. Tuttavia, se queste tracciano dapprima un vitale percorso di gioco, diventano infine mondo nostalgico.
Il gioco nel romanzo è campo semantico dominante, una modalità espressiva di Agata, quell’inventio con cui fa esperienza della vita e insieme l’allontana dalle temute grettezze borghesi. Molte le ricorrenze dei lessemi giuoco, giuocava, giuocata, giuocattoli. Agata, stimolando il suo amante, gioca infatti a fare l’allarmata, l’offesa, gioca a inscenare un matrimonio in piena regola, ma ancor più gioca a pose eroiche, fino ad essere insieme Perseo e Andromeda, l’androgino che l’amore ha saputo ricostituire in lei: «cercava di far rivivere in qualche modo le belle favole antiche» (p. 152), appunto, lo sguardo che si accende all’idea di una lontana età dell’oro per rendere vivo il mito, nella gioia di una rinnovata epifania. Quell’ inventare fantasioso è per lei un modo per non «precipitare nella fossa dei serpenti». Oggetti trovati per caso, persino un cavalluccio di plastica a tre gambe, finiscono così per far parte di una mirabile collezione. Non era «un gioco infantile», ma «un baluardo stregonesco» contro una realtà fatta di ipocrisie, volgarità. «Il misero cavalluccio di plastica, una conchiglia o un rametto di olivo spezzato dal vento, le offrivano una realtà più vera, più integra, la buona realtà degli alberi, del mare, della vita primordiale» (p. 149). Ma Agata, se pur con la purezza dei bambini che inventano giochi, e con la complicità di Riccardo, spinge il suo gioco all’estremo, facendo della sua avventura, come direbbe Simmel, quel va banque del giocatore d’azzardo che può condurre sì a raddoppiare la vincita, ma anche a una perdita estrema.
E allora cosa ne è davvero dei due amanti, una volta che il tempo, «mirabile costruttore», li ha rafforzati e la fortuna benigna aiutati «a mettere robuste radici»? Ora che «l’importanza amorosa dipende in gran parte dall’estensione delle radici» (p. 115 e p. 116), ci avverte Terra. 
Anche per questi due “sdruciti eroi” torna il «fuori tempo». Meglio la contro-faccia di quel «fuori tempo» insistito, e non criticamente integrato, della sublimazione favolosa voluta da Agata. Torna pertanto quel fuori tempo che dava titolo al romanzo omonimo, pubblicato nel 1938, in cui si perde infine «la scommessa su tempi migliori»: il tempo in cui «più nessuno» aspira «alla scomparsa del Male» e «a governare è l’indifferenza» [25].
In Una storia meravigliosa tutta la narrazione si sviluppa con un linguaggio che è in tensione con il favoloso, ma nulla resta di quella magia, il meraviglioso via via si spegne. Colei che nel gioco aveva portato il passato dei miti e delle belle favole antiche non sa discernerne infine la sostanza, come l’ammonirebbe il suo autore, non sa avanzare con la conoscenza acquisita nel mondo adulto, non interagisce criticamente con i fatti psichici che sempre generano altri fatti psichici. E così il mondo di quei bambini grandi e invecchiati che disdegnava ricaccia infine anche lei nella pena di un nuovo «giochetto […] per divagarsi dal disgusto» (p. 217) di una vita tutta cenere. Non di meno Riccardo, pur osservando quanto Agata «fosse slanciata e seria» (p. 189), non riesce a tenere testa ai suoi quesiti; si rivelerà, via via più distratto e poco battagliero, infine incapace di scioglierne l’arrovellarsi. Ormai più attento alla banalità delle cose, non combatte come un nuovo Perseo per liberare la sua Andromeda, incatenata dal mostro marino, e farne la sua sposa.
Anche la presenza di animali, funzionale a rappresentare comportamenti umani, vizi e virtù, traccia un percorso nella direzione di un meraviglioso che muore.
Così, se gli amanti nella prima fase sono paragonati a due «cetonie iridescenti», simbolo di conoscenza e rinascita, se di nuovo il termine iridescente torna per descrivere l’apparizione di un fagiano, a cui la stessa Agata si sente «collegata» – e siamo anche qui in una simbologia legata alla rinascita, all’energia, al valore legato alla scoperta delle proprie potenzialità, secondo antiche credenze –, in seguito osserveranno, Agata e Riccardo, come in uno specchio, il gioco seduttivo del gatto con il topo che preannuncia una possibile distruzione. Ed è allora forse un caso che infine, accanto al corpo dell’uomo, che si è dato un colpo di rivoltella alla nuca, troviamo una gatta bianca a succhiarne il sangue? Chi altro rappresenta se non Agata? Il gatto, in alcune antiche culture, è simbolo della fertilità. Sappiamo che Agata ha espresso con forza il desiderio di avere un bambino da Riccardo, leggiamo che si troverà poi ad affrontare «le pene di una gestante, in un alternarsi di ore inebriate e maligne» (p. 163). Ma più in generale, è lei ad avere avuto il dono di far fiorire l’incontro e chiede infine che «l’amore» «concretamente» «portato» per lui «non sia stato seminato sulla pietra». (p. 177). Agata, da donna audace, «gli occhi fosforescenti di una gatta battagliera» (p. 60) – si noti che già Terra aveva creato questa similitudine si fa presto sospettosa, e infine pigra, oziosa cercherà rifugio in quello stesso mondo arido e fatto di ipocrisie, già codificato, da cui desiderava tanto allontanarsi. E qui ci domandiamo, un po’ironizzando, con il Terra di Eteromorfismo: «È possibile disubbidire all’animale che ci portiamo addosso, a quello che siamo?» [26].


Ricostruzione di un’allegoria

Infine, vogliamo fare una considerazione ancora. Nell’avventura romanzesca Agata sapeva riconoscere, in piccoli frammenti di giocattoli, «un’allegoria carica di significati presso che magici» (p. 149), al termine della narrazione, un altro frammento si presenta al lettore: questa volta per opera dell’autore, lui, sì, abile “archeologo dello spirito”, che ricostruisce tutta la narrazione romanzesca in allegoria. L’allegoria dell’occasionalità, della solitudine. Il capitolo finale Nel viaggio ha davvero le caratteristiche di un “riflesso allegorico”, ponendosi ad un tempo come sintesi, frammento, e insieme possibilità di ampliamento speculativo del romanzo stesso. Il protagonista, Lorenzo – estraneo al romanzo fino a quell’istante (apprendiamo soltanto per un rapido cenno che conosceva Agata Cardini e ne apprende le nozze da un rotocalco, trovato per caso) – scopre ad un certo punto del proprio viaggio in treno di trovarsi misteriosamente solo. E, come Riccardo, si suicida. Svuotati all’improvviso il corridoio e i diversi scompartimenti, l’uomo si percepisce separato da tutti gli altri viaggiatori. Un vuoto assurdo, primordiale, nel cuore della notte, al quale tenta di trovare una ragione; per un attimo la speranza si riaccende, cambiando scompartimento ritrova altri compagni di viaggio, si rincuora, ma quando decide di tornare indietro e recuperare le proprie valige per raggiungerli di nuovo, la porta di comunicazione è definitivamente chiusa. Leggiamo:

Proiettato nella solitudine senza fantasmi come un minuscolo meteorite negli abissi dello spazio, si rendeva conto che non avrebbe mai mai mai mai più potuto raggiungere gli altri. Ma perchè infine quella condizione? Perchè perchè perchè, seguitava a mugugnare stupidamente (p. 215) .

Terra mette qui in scena un movimento del pensiero che riflette la realtà di una grande solitudine. Il treno, le carrozze che separano, i vagoni vuoti, le valige abbandonate, l’oscurità, che come sempre in Terra rappresenta l’affacciarsi al nostro interiore abisso. Una realtà pensata per allegoria di immagini che si fanno istanza interrogante; allegoria come scelta di conoscenza mediata, un dire in altra forma.
Certamente qui non cambia propriamente il linguaggio, come in Riflessi, dramma costruito su due dimensioni, teatrale e narrativa, in un gioco di incastri, in una struttura a specchio fra le due parti che si ritrova in Un uomo e l’inferno (1981). E certamente meno evidente è qui il processo di ricomposizione dei frammenti di un’unità organica decaduta (Benjamin), il cui senso dipende dalla volontà individuale. Le opere che abbiamo appena citato si prestano infatti anche ad una lettura storico-politica, non solo umana. Tuttavia, è pur sempre rilevabile, anche in questo romanzo, la volontà in Terra di tornare a ricomporre e di nuovo riflettere: la sua è una letteratura di esperienza e possibilità di ripensarla, rinnovandone il modo, continuamente avanzandolo. Si tratta di «continue riscritture», rielaborazioni, reinterpretazioni atte ad un nuovo approfondimento, all’interno di un libro, tra un libro e l’altro. Si tratta di «una circolarità ermeneutica» [27].
In Una Storia meravigliosa, l’ultimo capitolo, il viaggio nella solitudine, è perlopiù così un movimento strutturante il percorso di quel pellegrino senza bordone di cui abbiamo conosciuto la storia. A Terra interessa esplorare le ragioni dell’essere uomo: chi siamo, dove siamo diretti, noi tutti viaggiatori, sempre in viaggio, anche quando si dorme, a casa, sempre in viaggio, cioè in un percorso, una traiettoria con tutti i cambiamenti organici e psichici di ognuno (p. 206). L’autore indaga l’uomo come essere radicato nel proprio tempo e nel proprio spazio, nel tentativo di comprendere sé stesso; lo osserva, ancora una volta, nel temps de la nuit, in quello scorrere libero della coscienza e dei suoi ritmi, quando «chiuso nella propria anima» non fa contatto, non comprende, la «dimensione etica e sociale dell’umano» [28].
Lo interroga nelle possibilità che gli sono proprie, al di là di ogni illusione che ostacola lo spirito vitale dell’io nell’avanzamento del proprio progetto.
Una volta ancora, Terra ci mostra la nostra precarietà, il nostro essere occasionali, l’impossibilità di comunicare, ma non di meno fa luce sulla nostra responsabilità di esseri umani. Quell’isolamento che Lorenzo vive ci ricorda infatti heiddeggerianamente che in ogni istante dell’autocomprensione a condizionarci è l’incontro con l’altro, quel Co-Esserci che è presente anche quando non presente, ma “presente esistenzialmente”. L’essere al mondo dell’altro si incontra sempre in un Co-Esserci, ancorché qui “difettivo”. Aspetto quest’ultimo che non giustifica la non responsabilità delle nostre azioni.
Il sociale, la comunicazione tra individui, dipende sempre dalla responsabilità individuale. E Terra farà sentire a Lorenzo tutta la bellezza di trovarsi fra «gente della sua specie», con cui gustare in pieno «i piaceri della società»: un ribadire la necessità di una dialettica fra individuale e sociale. Una responsabilità individuale che anche Agata e Riccardo non hanno saputo sostenere indipendentemente l’uno dall’altro, in quell’essere difettivo dell’altro.
Ecco che allora in un a-parte dell’ultimo capitolo, quasi un fondo di cronaca dello stesso autore – altro elemento riflesso e riflettente, diversamente chiarificatore – ritroviamo anche il fatto che riguarda Agata. L’autore ci presenta in sintesi le circostanze della sua vita attuale: inserendola, e insieme separandola, nel movimento speculativo e riflessivo del capitolo. Invitando il lettore a comprendere il gioco ad incastro, cidà notizia, in una modalità espressiva in cui forma e contenuto si integrano, del punto preciso del suo viaggio: in un’unica parola, quella conclusiva di Terra: dispersa.
Perché in fondo, nel viaggio, molti restano residui di sé stessi, «di una bellissima possibilità», e come «frammenti mossi dalla velocità dei secondi» (p. 182) scompaiono in quel nulla proprio di un mondo opaco di fantasmi.
Abbiamo assistito, una volta di più, a un procedere concreto e attivo dell’arte dove a presiedere alla molteplicità degli stati d’animo (relazioni ritmiche interiori) è l’immaginazione, che dalla rottura di un’armonia al crearne una nuova, ne suggerisce sempre di più ampie, fino a elevarsi a evocare un’armonia universale. Per gli Immaginisti (Barbaro, Paladini) si tratta sempre di riconoscere figure come parti diverse dell’io, in tensione con la volontà di comprendere l’uomo nella sua molteplicità, in tensione con la verità.
È in questa costruzione progressiva dell’individualità, in questa problematizzazione costante, che Terra crea i suoi personaggi, fra una varietà di toni e registri, in un incessante possibilità di riflessi. Un’arte davvero «anima della nostra vita operante», una letteratura che, da grande archeologo dello spirito, Terra ci offre rendendoci attivi esploratori delle sue meravigliose avventure.


Sara Calderoni
(n. 9, settembre 2024, anno XIV)


Avvertenza:
Tutte le citazioni riprendono fedelmente l’originale del testo, pertanto alcune modifiche quali l’accento di «perchè» in «perché», o simili, non sono state effettuate: a differenza di altri testi citati, questo non è ancora apparso in versione moderna rivista.
[1] Cfr. ora Dino Terra, L’amico dell’angelo – Riflessi. Drammi, a cura e con Introduzione di Sara Calderoni, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2016.
[2] Cfr. ora D. Terra, Ioni, a cura e con Introduzione di Daniela Marcheschi, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2014.
[3] Cfr. ora D. Terra, Profonda notte, a cura e con Introduzione di Luísa Marinho Antunes, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2015.
[4] D. Terra, Eteromorfismo. Una guida al viver civile, Firenze, Sansoni, 1975, p. 28.
[5] Ivi, p. 29.
[6] Georg Simmel, L’avventura, in Filosofia dell’amore, a cura di Marco Vozza, trad. it. di Paola Capriolo, Roma, Donzelli, 2001, p. 58, p. 59 e p. 60.
[7] Cfr. Introduzione di D. Marcheschi a D. Terra, Ioni, cit., in particolare pp. XIII-XV e Ead., Dino Terra: Ioni e la “magia” della letteratura, in Dino Terra e la favola, a cura di Alessandro Viti, Pisa, Edizioni ETS, 2021, p. 30.
[8] D. Marcheschi, Dino Terra: Ioni e la “magia” della letteratura, cit., p. 33.
[9] G. Simmel, Op. cit., p. 61.
[10] D. Terra, Le ricerche amorose, Milano, Ceschina, 1942, p. 69. Si noti inoltre che l’uomo oggetto di indagine è per la ricercatrice Atalanta un «esotico prodotto».
[11] D. Terra, Una storia meravigliosa, con una nota di Giorgio Bassani, Milano, Ceschina, 1964. Per le citazioni relative al testo in esame si faccia riferimento alle pagine indicate infra testo. Mio ogni corsivo che si ritroverà all’interno delle citazioni dal testo.
[12] Sul tema dell’occasione in Terra, cfr. Fabio Finotti, Dino Terra, ultimo e primo, in La figura di Dino Terra nel panorama letterario ed artistico del ’900, a cura di D. Marcheschi, Venezia, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2009, p. 88 e ss.
[13] Cfr. Introduzione di S. Calderoni a L’amico dell’angelo – Riflessi, cit. p. XV.
[14] G. Simmel, Op. cit, p. 60.
[15] Cfr. S. Calderoni, Introduzione a L’ amico dell’angelo-Riflessi. Drammi, cit., p. XI.
[16] Terra, La grazia, a cura e con Introduzione di  Gianni Antonio Palumbo, Venezia, Marsilio- Fondazione Dino Terra, 2023, p. 72. Cfr. anche p. XVII dell’Introduzione. Segnaliamo anche le ulteriori acquisizioni critiche sul romanzo di Gianni Antonio Palumbo, Dino Terra antifascista: quella strana «Grazia», in «Orizzonti Culturali Italo-Romeni»(on line, https://lnkd.in/eguNFuRW), 6, XIV, giugno, 2024.
[17] Cfr., sul tema, G. Simmel, Il relativo e l’assoluto nel problema dei sessi, in Id., Filosofia dell’amore, cit., pp. 91-121.
[18] Cfr. D. Marcheschi, Ioni, cit., p. XVI.
[19] Ivi, passim.
[20] D. Terra, Le ricerche amorose, cit., p.102.
[21] Cfr. Introduzione di S. Calderoni a D. Terra, L’ amico dell’angelo-Riflessi. Drammi, cit., p. XVIII.
[22] D. Terra, Le ricerche amorose, cit., p. 104.
[23] Ivi, p. 96.
[24] Si veda, a tal proposito, Antonio Daniele, Dino Terra e la forma della favola in Qualcuno si diverte, in Alessandro Viti (a cura di), Dino Terra e la favola, cit., pp. 75-76
[25] Cfr. Gandolfo Cascio, Introduzione a D. Terra, Fuori tempo, Marsilio-Fondazione Dino Terra, 2021, p. xix.
[26] D. Terra, Eteromorfismo…, cit., p. 43.
[27] Fabio Finotti, Dino Terra, ultimo e primo, cit., p. 87 e p. 88.
[28] Si veda in generale L. Marinho Antunes, Introduzione a D. Terra, Profonda notte, cit. e anche Ead., Profonda notte, giornale della notte dei tempi, in Alessandro Viti (a cura di), Dino Terra e la favola, cit., pp. 45- 46.