Inchiesta esclusiva. 20 nuove testimonianze sull’attuale condizione dell’artista donna in Italia (II)

Continua il nostro ampio progetto-inchiesta sull’attuale condizione dell'artista donna in Italia, iniziato ad aprile con la pubblicazione dei primi eclatanti risultati, con le testimonianze di 33 artiste, curatrici, galleriste, storiche, critiche d’arte, collezioniste, appartenenti a generazioni diverse e provenienti da differenti centri culturali e accademici della Penisola (parte prima, parte seconda).
La prospettiva italiana ci offre punti di incontro con la percezione romena espressa nell’inchiesta esclusiva le cui prime risultanze sono state pubblicate nel numero di marzo 2021, con 29 voci rappresentative dell’arte romena contemporanea alle quali si aggiungono a maggio altre 10 voci. I contributi finora raccolti sono accessibili nell'apposita sezione dell'edizione romena.
Nel format che vi proponiamo, la riflessione scaturita dallo scambio di idee e punti di vista è accompagnata da una ricca galleria di opere che va dalla pittura alla scultura e alle installazioni, dalla rilettura della tradizione alle contaminazioni e al dialogo con il fumetto e l’illustrazione.

(Nell’immagine, Ivana Spinelli,
Global Sisters 2)

In questa pagina intervengono
Arianna Giorgi, Silvia Infranco, Silvia Inselvini, Roberta Maola, Patrizia Molinari, Lulù Nuti, Laura Renna, Ivana Spinelli, Francesca Tulli e Lucia Veronesi.
Un'altra pagina ospita gli interventi di
Michela Alfè, Elena Bellantoni, Primarosa Cesarini Sforza, Laura Cionci, Manuela De Leonardis, Elena Dell’Andrea, Laura Vdb Facchini, Cristiana Fasano, Tamara Ferioli e Loredana Galante.

Il progetto, a cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin, andrà avanti nei prossimi numeri, continuando ad arricchire la nostra rete per il dialogo interculturale. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato a questo progetto, Inchiesta esclusiva donna artista.




Arianna Giorgi (artista visiva, Milano)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

La scarsa visibilità delle donne e di conseguenza delle artiste donne, nel corso dei secoli, deriva dall’impostazione patriarcale di cui è impregnata, da secoli, la società, in cui è l’uomo l’artefice e la donna solo una sua propaggine, più o meno estratta da un osso. Chiaro che, in quest’ottica, la donna appare come mero surrogato esterno dell’uomo. Una sorta di bisaccia per la procreazione a cui è delegata la continuità della stirpe. 
Certamente, oggi, spero che la situazione sia diversa. Il cambiamento è stato possibile, grazie alle lotte e ai sacrifici di tante donne, ovvero a quello che viene definito protofemminismo e, solo in tempi molto più recenti, alle lotte sociali vere e proprie, dalle suffragette al movimento femminista nelle sue varie declinazioni. Ciò ha fatto la differenza nell’ambito della condizione generale della donna. Per la donna artista, comunque, è, ancora oggi, sempre più difficile emergere.
In termini sociali, adesso, non si tratta più di coscienza dei diritti, questa l'abbiamo acquisita. Ma di leggi vere e proprie, che vanno varate per rimediare a una radicata cultura maschilista, espressa nei fatti e nelle parole del quotidiano
La cosa più urgente per me (questa pandemia lo sta sottolineando paurosamente) è una riforma che parta dall’educazione pedagogica, che dovrebbe aiutare i più piccoli a crescere liberi dagli stereotipi. Ci si sta avvicinando?  Non so… L'altro problema sostanziale è che, in Italia, è costume pensare che non nasca profitto economico dall’arte e dalla cultura in generale.  Dunque, l’arte è ʽinutile’. Figuriamoci una donna che fa arte.


Arianna Giorgi, Luna nera, 2017,
terracotta (calco dalla forma ricavata dalla pietra di Lilith, 1998) argilla, colore, muscoli (conchiglie nere) creta, pasta di zucchero nera, sale carbone vegetale, 150x160 cm (dimensioni installazione variabili), ph. ©Arianna Giorgi


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Non oggi. Abbiamo appreso che donne e uomini, biologicamente parlando, hanno componenti maschili e femminili variamente distribuite. L’idea, la visione, emerge dal profondo del nostro essere che li contiene entrambi. Sta poi alla ragione e alla coscienza renderla compiuta nell’opera, perché questa si possa aprire allo sguardo esterno. E questo è indipendente dal sesso della sua o del suo artefice.
A meno che non ci sia una precisa volontà di equipaggiare l’opera di una presa di posizione ideologica. Ma per farlo bisogna essere molto brave, altrimenti si rischia di fare dell’opera un semplice stendardo. Penso che, attualmente, in Italia un’artista possa fare il proprio lavoro e nel contempo, se ne sente la necessità, fare protesta senza fondere, forzatamente, le cose. Però niente è scontato. L’evidenza di una società globale che torna ai macro-errori del passato è sotto gli occhi di tutti.

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?


Suppongo ci siano tante reti. Esistono professioniste che si dedicano principalmente ai temi e alle opere che riguardano le donne. Sul piano teorico è molto interessante. Per quanto concerne me, penso che le idee nascano dalle differenze, dagli scontri, dai diversi punti di vista. A volte anche dolenti. Fermo restando che non vi siano prevaricazioni. Non mi omologherei, oggi, a modelli prestabiliti.



Arianna Giorgi, Lilith, 1998,
ardesia, colore, creta, lattari (conchiglie rosa), pigmento rosa e rosso, 240x20x30 cm (misure installative variabili)
Copyright ©Pilippe De Gobert, per gentile concessione della Galleria Micheline Szwajcer, Anversa


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Sì, certo, anche se un po' di tempo dopo… devo dire che, di responsabilità, nel corso degli anni, ce ne ho messa anch’io, con la mia ribellione immatura nei confronti, ad esempio, della mia famiglia. Ribellione priva degli strumenti comportamentali atti a dimostrare la mia determinazione al fare arte, che pure c’era. Parlo di ingenuità, non di ignoranza. In seguito, scelte errate e qualche treno perso, hanno portato a una discontinuità nella mia carriera espositiva ma, non certo, nel mio continuare a creare
.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

Credo non sia né rappresentato, né celato. Ogni mia opera ha una sua propria storia. Tuttavia, ci sono opere che si prestano a essere lette come, più palesemente, femminili di altre. Alcune, con riferimenti molto più espliciti. Ad esempio, Lilith, 1998, che è un riassunto ermetico della creazione della prima donna che è pari all’uomo e che, solo successivamente, viene trasformata in demone. Oppure Luna Nera, 2017, realizzata più recentemente, in cui riprendo l’idea di Lilith, volendone rappresentare il lato oscuro, fiabesco e demoniaco, attribuitole a lungo.


Arianna Giorgi, Pelle, 2000, pietre rosate, marmo di Carrara, graniglia di quarzo, 20x80x100 cm circa,
ph ©Arianna Giorgi




Silvia Infranco (artista visiva, Bologna)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia
?

Penso che le ragioni più evidenti siano legate alle dinamiche secondo cui è venuta viavia strutturandosi la società umana. Dinamiche che hanno sempre tendenzialmente attribuito alla donna il ruolo appartato di custode del focolare familiare. Primitivamente parlando, al sesso maschile spettava affrontare il pericolo e procacciare il nutrimento e a quello femminile spettava accudire il rifugio, allevare la prole. A tutto ciò non è ovviamente attribuibile alcuna discriminazione di genere, semplicemente, a livello primordiale, si è venuta a instaurare una separazione di ruoli finalizzata alla sopravvivenza reciproca che teneva conto della diversa natura maschile e femminile e dunque dei migliori apporti che tali nature potevano reciprocamente darsi.
Poi nel corso della storia, attraverso la moltiplicazione degli ambiti lavorativi/professionali, si è assistito a un’amplificazione delle modalità connesse al procacciare sostentamento, e le stesse hanno continuato a strutturarsi in maniera prevalentemente patriarcale, seguitando ad applicare le medesime logiche a contesti in realtà dalle stesse sempre più svezzati per molteplici ragioni evolutive. In un tale contesto, il ruolo femminile, meno appariscente, più silente nella sua innegabile essenzialità, è stato più incline a essere sottovalutato e sminuito.
Nonostante ciò, la storia ci parla di svariate figure femminili che hanno via via contribuito a scardinare questa matrice patriarcale. Penso sia un processo che fisiologicamente, per le ragioni di cui sopra, doveva avere il tempo di determinarsi, certo a fatica, anche attraverso dolore, ma ormai si è da lungo tempo innescato. Motivo per cui oggi, rispetto alla condizione dell’artista-donna, per fortuna posso dire di non ravvisare elementi discriminatori di genere.


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?


Direi che non ravvedo un fil rouge nell’ambito dell’arte declinata al femminile, ma a essere sincera non ritengo che ciò sia necessario o auspicabile. Anzi, al contrario, penso che la qualità di un’opera derivi anche dal non essere chiaramente attribuibile a una donna o a un uomo. L’opera d’arte, a mio avviso, al di là della sua paternità o maternità che dir si voglia, non dovrebbe avere un sesso. Ritengo che il linguaggio artistico debba essere al di sopra delle distinzioni di genere, fermo restando che lo stesso può chiaramente rispondere a differenti sensibilità di decodificazione del mondo.

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Ho avuto la fortuna di incontrare artiste, curatrici, galleriste, collezioniste molto belle, in termini di coraggio, passione ed energia. Di tutte loro conservo, insieme alla gratitudine dell’incontro, l’immagine nitida della profondità e vividezza di sguardo. Quando si instaurano queste connessioni, emerge qualcosa di profondo, si instaura necessariamente una rete, una vicinanza, una reciprocità di aiuto e ascolto che a mio avviso testimonia la forza e la sensibilità custodite da sempre nella presenza femminile. Clarissa Pinkola Estés in un suo libro scriveva: «Con il loro corpo le donne vivono molto vicino alla natura Vita/Morte/Vita. Quando si trovano nel giusto animo istintuale, le idee e gli impulsi ad amare, creare, credere e desiderare nascono, hanno il loro spazio, si dissolvono e muoiono, per rinascere ancora». Trovo che queste parole evochino molto bene la forza racchiusa in ogni ciclica connessione femminile.

Silvia Infranco, Herbaria (from Egerton 747), 2020,
pigments, oxides, bitumen and wax, 130x100x7 cm

Silvia Infranco, Melia, 2020,
pigments, oxides bitumen, wax, clay, iron, diam 20 cm


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Nella mia storia personale non ravviso l’accadimento di sperequazioni di genere. Ricordo però di essere rimasta colpita, molti anni fa, dalla lettura di un’intervista a un’artista, ormai affermata, nella quale si faceva riferimento alle parole, udite per sbaglio, di un gallerista che era restio a inserire nella propria scuderia artiste donne nel timore di fare un cattivo affare in quanto spesso le artiste, se diventano madri, non si preoccupano più seriamente di fare l’artista. Ora, al di là del fatto che immagino il mettere al mondo una vita come l’azione creativa più potente e pervasiva possibile, considerazione dalla quale discende il pensiero che tutte le altre espressioni creative possono essere solo un’imitazione di questo atto supremo e dunque allo stesso inferiori, ritenni la visione di quel gallerista ottusa, ma allo stesso tempo trovai rassicurante leggere che si trattò di un unico e isolato episodio nella lunga carriera di quell’artista.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?


Il mio codice comunicativo ruota attorno ai concetti di memoria e decorso temporale. Mi interessa osservare come superfici differenti rispondano visivamente e tattilmente all’accadimento mnemonico, nella sua accezione di sedimento indotto dal processo di intervento. I materiali con i quali mi confronto, prevalentemente organici, vengono sottoposti a processi di accumulo o di erosione. Gli esiti che ne derivano svelano differenti tentativi di preservazione e di resilienza della materia che restituiscono allo sguardo e al tatto molteplici narrazioni segniche. È un po’ come se il decorso temporale, il cui esito naturale rispetto alle forme organiche è quello della morte, continuasse nel suo incedere ad arricchire di vita la superficie che investe. La materia non si spegne, muta, preserva, si spoglia di peso, ancora brulica e resiste all’oblio.
Forse un’attenzione al ʽfemminile’ è ravvisabile nell’interesse nei confronti del processo generativo indotto dal decorso temporale, nonostante la consunzione dallo stesso determinata. Tutto ciò, nei termini in cui si voglia riconoscere al processo generativo una natura femminile, ma non sono così sicura di questa esclusività di genere.

Silvia Infranco, Porifera Metaforma, 2020,
pigments and oxides on carbon paper, 52x39x5,2 cm

Silvia Infranco, Porifera Metaforma,
dettaglio






Silvia Inselvini (artista visiva, Brescia)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Quando ho letto questa domanda, il mio pensiero è subito andato a Christine de Pizan, nata nella seconda metà del Trecento, italiana naturalizzata francese, e probabilmente la prima donna che ha concepito sé stessa come scrittrice di professione. Tra i vari testi scritti, in cui ha affrontato le tematiche più diverse, ha pubblicato anche degli interventi contro i luoghi comuni sulle donne, ad esempio in un trattato intitolato Insegnamenti per mio figlio e in un altro testo allegorico che si chiama La città delle dame, il cui intento è di dimostrare l’importanza delle donne nella storia e per la vita dell’umanità. Qui scrive, sarcasticamente: «ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio. Tutte le mie capacità sarebbero al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere». La citazione è datata 1405, non fa (amaramente) sorridere?
Christine riflette anche sul fatto che non ci siano, nella sua epoca, donne dotte, e risponde a tutti quei dotti e intellettuali uomini che si chiedono: come mai? E lei scrive: avete mai pensato al fatto che alle bambine non è consentito studiare? Se le bambine potessero farlo, non si vedrebbe differenza, e prende come esempio sé stessa, che ha potuto studiare grazie a un padre evidentemente illuminato per il periodo in questione; poi aggiunge: un altro problema è la massa di uomini ignoranti, che non sopporterebbero di vedere una donna che ne sa più di loro. La critica verso la società patriarcale è ben più che evidente, ma Christine non risparmia neanche quelle donne intrappolate in questo meccanismo perché, dice, se le donne volessero studiare, allora vedremmo il cambiamento.
Le stesse argomentazioni vengono riportate anche in un testo ben più recente di Linda Nochlin, Perché non ci sono state grandi artiste?, del 1971, secondo cui lo scarsissimo numero di donne artiste non dipende dalla presenza di genio individuale o dalla sua mancanza, ma dalla natura delle istituzioni sociali e di quel che esse proibiscono o incoraggiano a seconda del ceto di provenienza o dei gruppi di individui. Quindi, doveri e aspettative gravanti sulle donne hanno sempre reso impossibile e impensabile l’impegno totale che richiede la professione di artista, oltre al fatto che le donne stesse per lungo tempo hanno interiorizzato le richieste di una società dominata dagli uomini. Si è sempre trattato di possibilità precluse, socialmente o istituzionalmente, a prescindere dal talento.


Notturni, 2020, 89x85 cm, penna a sfera su carta


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre,
un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Non penso all’arte in questi termini, e il voler trovare una specificità nel punto di vista femminile rispetto a quello maschile rientra in quei pregiudizi che è essenziale rimuovere per poter dare il giusto respiro al lavoro di ciascuno, che si tratti di una donna o di un uomo. È l’opera la cosa importante, più dell’artista stesso, e va letta senza limiti o condizionamenti. E l’artista dovrebbe, a volte, sapersi dimenticare, e far parlare il proprio lavoro.

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?


Esiste, anche se a volte rischia di tramutarsi in un sistema chiuso e poco costruttivo.


Notturni, 2021, 120x85 cm, penna a sfera su carta

Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Personalmente non mi è mai successo di essere discriminata in termini di genere. Quello che mi succede con più frequenza, e che trovo ben più fastidioso, probabilmente perché ancora non capisco il senso di questa affermazione, è sentirmi dire continuamente che sono un’artista giovane. Secondo questo strano criterio puramente italiano, è più di dieci anni che sono una giovane artista.


Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

Anche in questo caso, come già detto in precedenza parlando dell’arte in generale, non ho mai pensato al mio lavoro in questo modo. I miei lavori più significativi fanno parte del ciclo dei Notturni, che porto avanti dal 2012. La mia ricerca riguarda il tempo e la ripetitività dei gesti, è una tensione verso l’Infinito. I miei strumenti sono dedizione, concentrazione, e un certo grado di ossessività. Quindi sia le tematiche trattate, che le componenti caratterizzanti il mio lavoro, sono potenzialmente comuni a tutti gli individui.
Citando nuovamente Linda Nochlin: «il vero problema non sta tanto nel concetto elaborato dalle femministe di ciò che è femminile, quanto nella loro malintesa idea di arte: cioè, nell’ingenua convinzione che si tratti dell’espressione diretta e personale dell’esperienza emotiva di un individuo, ovvero la trasposizione del suo vissuto nel linguaggio figurativo. Quasi mai l’arte consiste in questo, e meno che mai l’arte alta. Realizzare un’opera significa padroneggiare un linguaggio formale coerente, più o meno vincolato o svincolato dalle convenzioni, dagli schemi o dai sistemi di nozione coevi; un linguaggio che deve essere appreso o sviluppato attraverso lo studio, un apprendistato, o un lungo periodo di esperienza personali».


Notturni, 2021, 89x85 cm, penna a sfera su carta





Roberta Maola (artista visiva, Roma)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Credo sia dovuto al fatto che l’arte in antichità aveva la funzione di testimoniare la cultura del periodo storico, di divulgare la tradizione e i miti antichi, nonché di rinforzare gli archetipi e i tabù fondamentali che, come pilastri, garantivano e giustificavano lo status quo, anche per quanto concerne l’ingiusta divisione in caste cristallizzate.
Fondamento della stragrande maggioranza delle culture è il patriarcato che postula la superiorità del genere maschile rispetto a quello femminile. Da questo punto di vista, una donna artista è in sé e per sé un elemento detonante che rischia di demolire l’assioma secondo il quale la donna ha un ruolo nella società prettamente in virtù della dimensione corporea: moglie, prostituta, modella, madre. Le facoltà intellettuali e/o spirituali sono totalmente neglette nel genere femminile in quanto ritenute di esclusiva pertinenza degli uomini.
Se, in aggiunta a ciò, si pensa che l’arte nell’antichità aveva un duplice legame con la spiritualità, per i soggetti rappresentati, ma anche perché certi capolavori sembrano realizzati da mani guidate dal divino, ci si può rendere conto di quanto poteva essere sovversivo constatare che le donne eccellevano nelle arti tanto e forse in alcuni casi anche meglio degli uomini.
Se, infine, si considera il contenuto di alcune opere che, come dice Elisabetta Rasy, andavano a creare una rappresentazione della donna antitetica e incompatibile con il dominio patriarcale, si può comprendere a pieno la ferocia con la quale veniva sanzionata l’ambizione delle artiste di esprimere il loro talento.
Emblematica, in questo senso, la vicenda di Artemisia Gentileschi, stuprata dal maestro che era stato incaricato dal padre di aiutarla a sviluppare il suo talento e che, invece, cercò solo di ridurla a mero corpo funzionale a soddisfare gli appetiti sessuali degli uomini. Non è un caso che nel processo che scaturì dalla denuncia di Orazio Gentileschi, Artemisia fu sottoposta alla tortura della sibilla che per poco non le fece perdere l’uso delle dita e quindi della facoltà di dipingere.
Altrettanto emblematica l’opera Giuditta che decapita Oloferne. Molti in essa hanno visto la rappresentazione della giusta pena per lo stupro secondo Artemisia. Immagino che, nella cultura di inizio ’600, quest’opera abbia avuto un effetto deflagrante rappresentando una donna che, anziché accettare remissivamente la propria sottomissione sessuale, decapita il suo aguzzino.
Sulla base di quanto detto fin qui, non mi riesce difficile comprendere come mai le artiste siano state sottoposte a una sistematica cancellazione, rimozione storica, delle loro opere e della loro poetica, fin del loro stesso essere artiste: Berthe Morisot, ad esempio, viene ricordata più per essere stata modella di Manet che come unica artista femminile dell’esposizione del 1874 che inaugurò il movimento impressionista.
Per venire alla seconda parte della domanda, relativa alla condizione dell’artista-donna ai nostri giorni, ritengo che vada necessariamente vista alla luce della condizione della donna in genere e da questo punto di vista è innegabile che la violenza non ha mai cessato di insistere sulle esistenze delle donne. Per rimanere sul tema della cancellazione, assistiamo oggi a forme estreme di violenza che hanno l’obiettivo di annullare l’identità stessa delle vittime sfigurandole con l’acido o con il fuoco. Nonostante questo tentativo di umiliare le loro vittime, di isolarle dal mondo delle relazioni (il volto non è solo la nostra identità, ma anche un ponte relazionale con l’Altro), queste ultime hanno reagito con grande determinazione rimpossessandosi della propria vita e diventando icone di lotta. Secondo me, in ultima analisi, la condizione delle artiste oggi è caratterizzata dall’imperativo soggettivo di denunciare la violenza in tutte le sue forme e di rappresentare la bellezza e la resilienza insita nel genere femminile.


Sogni - Oggetto smarrito, 2016, disegno a matita su carta, 30/21 cm


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un
fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Per ricollegarmi al discorso che facevo prima, fare un’arte ancorata alle tematiche tipiche dell’emancipazione femminile, non è mai facile. Alle donne, e quindi alle artiste donne, non si fanno sconti ed è facile essere additate di strumentalizzare le tematiche sociali e femministe per dare forza a una poetica o a dei lavori che sarebbero meno potenti in sé e per sé.
Invece, io ho rintracciato, nei lavori di tante mie colleghe, una capacità mai banale né morbosa, al contrario sempre dignitosa ed elegante, di trattare tematiche femministe, di rappresentare l’introspezione psicologica o il ritorno, con approccio filosofico e spirituale, alla Madre-Natura. Il fatto di approfondire tematiche che appartengono antropologicamente più al femminile che al maschile, con una modalità, per giunta, che comunica direttamente all’emisfero destro del cervello e quindi olistica, emotiva, quasi subliminale, è esso stesso un’affermazione, una rivendicazione del ruolo imprescindibile della produzione artistica delle donne, in una società lacerata da fenomeni naturali e psicosociali che rischiano di disperdere l’essenza stessa dell’Umanità.


69 centesimi, 2018, disegno a matita su carta, 30/60 cm


Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Non so definirne la portata in maniera definitiva, ma ritengo che siano molteplici le esperienze di collaborazione tra figure professionali artistiche differenti e, quindi, tra linguaggi complementari tra di loro. Credo che sia un fatto inevitabile, in una società in cui la tecnologia stimola in maniera esasperata la nostra mente attraverso una moltitudine di informazioni veicolate su molteplici canali sensoriali. In un contesto come questo l’arte non può accontentarsi di esistere in quanto tale, ma deve ricercare un’integrazione di medium e di professionalità per emergere, per conquistarsi quello spazio di visibilità che merita. Ogni persona ha un canale sensoriale privilegiato, più sensibile rispetto agli altri quattro, ne consegue che un’immagine, un quadro ad esempio, se accompagnata da un commento sonoro o un sottofondo musicale acquisisce vividezza sollecitando emozioni. L’interattività a cui siamo abituati è qualcosa che va mutuato e applicato anche nelle mostre, il coinvolgimento dello spettatore consente una comprensione più profonda, un’esperienza che lascia il segno. Infine, non voglio dire che le opere d’arte debbano essere spiegate, ma per allargare la platea dei fruitori è a mio avviso necessario fornire strumenti interpretativi e coordinate storico-culturali che consentano al visitatore di crearsi una propria rappresentazione di esse. E in questo è determinante il contributo delle critiche e delle curatrici, ma anche delle/gli artiste/i che, quando sono vere/i professioniste/i, sanno riconoscere, promuovere e supportare più di chiunque altro il talento e la qualità quando li incontrano.
Un esempio di questo è il progetto Le altre opere: artisti che collezionano artisti ideato e realizzato da Daniela Perego e Lucilla Catania che in una cornice istituzionale valorizza questa capacità, coinvolgendo e facendo rete non solo fra artisti, ma anche con appassionati e addetti ai lavori. L’interesse vicendevole per il lavoro altrui testimonia l’amore per l’Arte in sé e per sé da parte di chi la fa ed è una prassi arricchente per ognuno in quanto si realizzano contaminazioni di linguaggi, poetiche e tecniche da cui scaturiscono percorsi di ricerca originali e innovativi.


...spazio alle idee, 2017, disegno a matita su carta, 46/30 cm


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Penso che ogni artista-donna porti con sé i retaggi di una cultura maschilista che legittima la ricerca dell’autorealizzazione da parte degli uomini, mentre in ambito femminile essa viene spesso confusa con l’ambizione. Ne consegue che prima di proporre i propri lavori al mondo e, ancor di più, di definirsi artista, sia necessario un lavoro interiore di autolegittimazione per scacciare i pensieri negativi, le bocciature aprioristiche e per bypassare la ricerca infinita di giustificazioni.
Come ho detto prima, alle donne non si fanno sconti, non ci viene concessa la possibilità di sperimentare, né perdonato di sbagliare. Si rischia perciò di cadere nella trappola della ricerca della perfezione che, come si sa, è un ideale irraggiungibile. È importante comprendere che, per quanto la nostra presenza possa essere scomoda, abbiamo piena cittadinanza nel mondo dell’Arte e che quindi possiamo accettare con serenità tanto l’indifferenza quanto il giudizio negativo. Diversamente si rischia di rimanere invischiati nella sabbia mobile dell’anelito all’accettazione che, se non immobilizza, di certo rallenta.
Inoltre, a volte siamo investite di alcune forme di interesse per il corpo, più o meno in buona fede, più o meno morbose, che rischiano comunque di deviarci nel percorso artistico, di espropriarci dal ruolo che più ci appartiene, re-indirizzandoci verso lo stereotipo secondo il quale il corpo ha più rilevanza rispetto all’opera, alla tecnica e alla poetica. Sono forme di svalutazione sottili, il più delle volte inconsapevoli, da cui occorre, però, imparare a difendersi o per istinto o per esperienza.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

La maggior parte delle mie opere, tutte disegni a matita su carta in stile iperrealista, sono caratterizzate dalla rappresentazione di oggetti messi in relazione tra di loro in maniera inusuale, dissonante e paradossale. Il mio intento è quello di creare un contrasto tra reale e irreale che generi una dissonanza cognitiva nell’osservatore che aggirando il filtro dell’analisi razionale, faccia pervenire il concetto che ispira l’opera, a un livello emotivo, sottocorticale o subcosciente.
Oltre a ciò la dissonanza cognitiva è lo strumento attraverso il quale creo uno stato di ambiguità che agevola la proiezione da parte dello spettatore. Sono infatti fermamente convinta che le opere d’arte debbano rimanere incomplete senza il contributo di chi le osserva. Solo in questo modo un’opera può acquisire un significato personale per ogni singolo spettatore ed essere così veramente fruibile ʽutile’ a chi la osserva.
Ho applicato questa metodologia a molti miei lavori in cui ho trattato il tema della violenza sulle donne e delle sue molteplici forme e vicissitudini. In alcuni ho scelto un approccio più evidente e d’impatto, in altri più sottile, quasi onirico. Spero che questi miei lavori aiutino a dare conto della drammaticità e al tempo stesso, della complessità, del fenomeno della violenza di genere.


Il Viaggio sulla Pelle, 2018, disegno a matita su carta, 40/30 cm






Patrizia Molinari (artista, prof. emerito l'Accademia di Belle Arti di Frosinone, Napoli e Roma)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Per secoli il corpo femminile è stato l’oggetto del desiderio, della supplica e del culto. Solo pochissime artiste sono riuscite a emergere. Il ruolo femminile era un ruolo secondario e di sottomissione. Oggi, l’artista donna e assolutamente alla pari con gli uomini anche se il ricatto non ha smesso di esistere.

Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Molte artiste donne dagli anni ’60 hanno iniziato a usare il corpo precedentemente «oggetto» come soggetto di riscatto e di libertà di essere. Gina Pane, Marina Abramovich, Laila Shawa, Shirin Neshat, Baernie Searle, Mona Hatoum, Tracey Emin hanno usato e ferito il proprio corpo: una denuncia e una dichiarazione di identità. Penso ai movimenti femministi: «Il corpo è mio e lo gestisco io». Da li è iniziato il riscatto e l’affermazione della natura femminile e il riconoscimento di una propria autorevolezza.



Patrizia Molinari, Ghiaccio di fondo, 2000, vetro industriale

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Non ne sono al corrente. Conosco progetti come Il sangue delle donne ideato da Manuela De Leonardis che ha coinvolto artiste, galleriste e associazioni femminili di tutto il mondo.

Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Purtroppo sì. L’impossibilità di farsi considerare indipendentemente dalla sottomissione e dall’accettazione di ricatti sessuali. Ricordo ancora che la gallerista Stefania Miscetti, negli anni ’90, mi telefonò per dirmi che voleva portare il mio lavoro alla Biennale delle artiste a Ferrara ma che un critico, allora e adesso molto influente, aveva messo il veto. Il motivo? «fidanzamento» mancato! E il ricatto continua!



Patrizia Molinari, Arturo, 2006, pietra e fibra ottica, Piscina Saline, Senigallia

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

L’elemento femminile nel mio lavoro è l’immagine fetale, segno di una identità esclusiva della donna vista da più punti di vista. Una della mie installazioni è formata da cinque sculture di vetro di forme fetali di differenti mesi, protette da centinaia di alte schegge taglienti. È impossibile avvicinarsi. Protezione non solo del feto ma della identità femminile, un traslato della vita fetale e dell’essere donna.


Patrizia Molinari, Nidi di luce, 2011, fibre ottiche, Giardino della Chiesa di Santa Chiara, Napoli





Lulù Nuti (artista visiva, Roma e Parigi)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Spesso si incontra la frase «La storia è stata scritta dai vincitori», ma più semplicemente si potrebbe dire che la storia è stata scritta da uomini. Le donne non sono ricordate come figure determinanti, piuttosto mi sembra che ogni epoca abbia avuto delle ʽeroine’ che hanno lottato per il diritto a vivere pienamente le loro passioni e la loro identità, a volte anche guadagnandosi riconoscimenti mentre erano in vita, ma ricadendo inevitabilmente nell’oblio nel momento in cui non erano più  presenti per difendere il loro lavoro lasciando quindi una sensazione di solitudine alle donne delle generazioni seguenti che non hanno potuto iscriversi in un continuum: arrivando orfane nel mondo.
Se cito Berthe Morisot, o Marie Bracquemond, tra il grande pubblico in pochi riconosceranno i loro nomi, eppure hanno fatto parte del gruppo degli Impressionisti, avvolte spingendo al limite la ricerca pittorica di questa corrente. Anche Dora Maar, pur essendo stata fondamentale per il surrealismo, è stata principalmente ricordata come «la donna che piange» di Picasso, solo recentemente le sono state dedicate retrospettive che fanno onore all’artista che è stata. Inoltre non scordiamoci che fino al XIX secolo le donne non erano accettate in Accademia e condannate a un percorso molto più tortuoso per avere una formazione, sintomo di una società che non accettava facilmente donne che uscissero dall’ambito domestico.

Attualmente nella società vengono messi in discussione i principi e i canoni binari dettati dal paternalismo e di conseguenza è in atto una rilettura della Storia e la messa in discussione del nostro bagaglio culturale che influisce, grazie anche al potere delle immagini su tutta la società. Non dimentichiamoci che l’Arte è lo specchio di un determinato momento storico, ma è anche il suo contrario: l’Arte veicola immagini che hanno un impatto profondo sulla vita sociale e sull’evoluzione dei rapporti umani.
Per quanto riguarda la rappresentazione della donna nella Storia dell’Arte Occidentale, essa ha avuto principalmente tre ruoli: quello di madre, quello di femme fatale o di vittima.
Alla luce di questa considerazione, anche se è in atto una rilettura e una ricerca per far emergere opere in cui la donna appare con figure diverse, se osservo i grandi capolavori – quelli che nei secoli sono stati considerati degni di essere custoditi e mostrati al pubblico – e mi tuffo mentalmente in un grande museo, assisto a una carrellata di donne spiate, donne stuprate, obbligate a pietrificarsi, o mutare per non cedere alla volontà di un dio affamato di sesso. Viene fuori un’immagine della donna cristallizzata come vittima, una figura incapace di decidere pienamente del proprio destino. Queste sono le immagini e i racconti che hanno cullato la mia infanzia e che hanno contribuito a formare l’adulta che sono ora; e come me intere generazioni di uomini e donne.

In questo momento si respira la volontà di ʽcurare’ queste ferite: a Roma è in residenza a Villa Medici Apollonia Sokol, pittrice che rielabora l’iconografia classica proponendo una lettura del presente più inclusiva dei ruoli maschile/femminile e il suo lavoro è stato accolto da critici e fondazioni con grande entusiasmo.
Per concludere, penso che per raggiungere una stabilità e una continuità siano necessari dibattiti che rimodellino le basi sulle quali stiamo cercando di erigere un nuovo sistema: una rilettura, una cultura inclusiva e che decostruisca i canoni estetici che compongono la percezione della donna.
In questo senso, a mio parere, le mostre dedicate alle donne non sono l’unica soluzione, dovrebbero esserci più studi e divulgazioni sulla storia delle donne artiste, su quello che hanno affrontato, affinché non si ripetano gli stessi errori. Secondo me la soluzione sta nell’educazione: le cose poi verranno da sole.



Leftover II (The Sunset or The Brain)
Photo Alessandro Vasari, Studio view, 2020 © Lulù̀ Nuti


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Mi pongo spesso queste domande: Le donne che conosco, le donne di successo, hanno dovuto fare i conti – e forse in parte rinunciare o cambiare la loro ricerca – con una società restia al loro esprimersi? Nell’arte contemporanea la donna parla spesso della sua condizione, la donna parla di donna, di essere donna, di non essere appunto unicamente madre o carnefice. Artiste che sono semplicemente poetesse, che parlano di temi universali e non legati a un genere sono state meno facilmente ricordate? 
Le artiste donne che hanno parlato della loro condizione sono state fondamentali in quanto hanno cambiato dei paradigmi e permesso alle artiste delle generazioni seguenti di sentirsi meno sole, ma suppongo che siano anche state più facilmente ricordate e accettate perché restavano in un ambito ben definito: quello di una nuova definizione della femminilità.
Più rare sono le star con poetiche definite maschili, caratterizzate da concetti considerati più elevati come l’esistenza, l’idea pura, la rappresentazione: l’essere nel mondo. A questo proposito, per questa categoria (donne artiste con ricerche definite maschili) esiste un fenomeno particolare: quello di essere riconosciute tardi (In passato Louise Bourgeois, adesso Etel Adnan). Penso che questo si spieghi anche dal fatto che la loro età le ha liberate dai ruoli di madri o di oggetti sessuali.
C’è poi un'attitudine a definire ʽmaschili’ quelle ricerche artistiche caratterizzate da concetti considerati più elevati come l’esistenza, l’idea pura, la rappresentazione, quelle opere che non lasciano trapelare una componente ʽfemminile’ nel lavoro, in quanto non trattano la questione della donna come tematica. Su questo credo che ci sia un equivoco, soprattutto linguistico, che appunto relega alla terminologia ʽmaschile’ (viceversa ʽfemminile’) qualcosa che di fatto riguarda l’assoluto, ma che appunto vuole per forza entrare in quel sistema binario, spesso contraddittorio.


Orizzonti, 2017-2020, exhibition view, Galerie italienne, Paris, 2020
© Lulù Nuti, La Galerie Italienne


Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Inevitabilmente sì, ma che io sappia in Italia non esistono unioni ʽpubbliche’ che si rivendicano come gruppi di donne che operano nell’arte. Piuttosto è una dinamica silente che succede e basta. In Francia invece, la mia seconda patria, ci sono delle iniziative strutturate molto interessanti a riguardo: AWARE (che nasce come archivio delle donne artiste e quindi uno strumento di ricerca) o Contemporaines, un’associazione per donne nel settore dell’arte che propone anche tirocini e laboratori di formazione e di scambio tra artiste di generazioni diverse e quindi la possibilità di confrontarsi sulle difficoltà che può riscontrare un’artista nella sua carriera (sessismo sistemico, l’arrivo della maternità ad esempio) e cercare soluzioni, ma penso anche a profili instagram come quello di Margaux Brugvin, che propone due volte al mese dei video di divulgazione sulle donne artiste nella storia dell’arte. Questo tipo di iniziative sono a mio parere più adeguate al momento storico in quanto, come dicevo prima, modellano il terreno, permettono di riconoscere e dare un nome a dei riflessi condizionati frutto di secoli di visioni binarie, e quindi capaci di rompere un compartimento culturale stagno.


Sun Sulfur Iron V, Photo Eleonora Cerri Pecorella
© Lulù Nuti Galleria Alessandra Bonomo


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Potrei enumerarne molti. Sicuramente un evento eclatante è stato l’atteggiamento di un professore di tecnica del metallo che si rifiutava di iscrivermi al corso dicendomi che era meglio lavorare per pagarsi un tecnico: aveva deciso, ancor prima di farmi provare, che non avrei mai imparato. Dal terzo anno ogni fine settimana prendevo un treno per la Normandia, dove un artigiano, Pierre Dupont, mi ha insegnato a forgiare.
In una delle mie ultime collettive un gallerista ha esclamato, rivolgendosi al curatore che mi aveva scelta: «Ecco perché lavori con la Nuti, gran bella ragazza!»; questo tipo di atteggiamento apre un’altra questione fondamentale in Italia, l’idea che ci si guadagni una posizione di potere grazie alla propria sessualità, e non per merito.
Questo è sicuramente frutto di anni di berlusconismo e di disinformazione: è venuto naturale al gallerista di mettere in opposizione il mio aspetto fisico con la mia ricerca, come se le due cose non potessero convivere, probabilmente neanche lui era cosciente del meccanismo inconscio in atto in quel momento e delle ferite che atteggiamenti del genere possono provocare, quando ripetute.
Per questo penso che bisogna parlarne, comunicare, proprio per dare gli strumenti a ognuno per rompere la tradizione degli stereotipi di genere: sempre in Francia nascono a questo scopo profili come My Art Not my Ass o «Balance ton école d’art». Mi auguro che questo succeda anche in Italia e che si inneschi pian piano in tutte le categorie un meccanismo cosciente di estirpazione di questo sistema binario e del sessismo sistemico.
Detto questo, vorrei concludere con una nota positiva: ho studiato una decina di anni fa con artiste donne che mi consigliavano di camuffare la mia femminilità in ambito lavorativo, per essere presa sul serio, invece vedo un’enorme cambiamento dalla mia generazione in poi, forse perché confrontandoci con un sistema in collasso, siamo più coscienti del nostro essere insieme al mondo.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

A
quanto pare il mio lavoro di ʽfemminile’ ha ben poco, eppure sono una donna.


Sistema V, Case Romane del Celio, Plaster,metal, site-specific, Sistema Exhibition view,
Photo Giovanni de Angelis, 2015 © Lulù Nuti





Laura Renna (artista visiva, Modena)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Non vi sono dubbi sul fatto che le artiste in passato abbiano avuto una vita difficile, tuttavia credo che si possa convenire sull’invisibilità delle donne solo se si guarda attraverso i filtri convenzionalmente riconosciuti di allora, secondo i quali veniva considerata arte visiva solo ciò che proveniva da discipline come pittura e scultura, alle quali hanno potuto facilmente accedere soprattutto gli uomini. Ciò nonostante, le donne sono riuscite a dominare un sottobosco fatto di pratiche parallele e altrettanto artistiche come quelle tessili, che ancora oggi stiamo riscoprendo. Hanno creato, consapevolmente o meno, un modo differente di fare arte. Si sono adattate e hanno acquisito una grande competenza sviluppatasi sotto traccia, secondo un’espansione rizomatica, di prossimità, passata di mano in mano, di madre in figlia fino al nostro tempo. Non si ricordano nomi e cognomi di singole donne, ma una intera e compatta comunità femminile si è imposta e ha reso fertile quel terreno in cui le nuove generazioni hanno potuto germogliare e crescere come artiste. Sono dell’idea che generazioni come la mia, e poi quelle successive, nate e cresciute in questo humus identitario, non abbiano sofferto disparità di genere. Credo che oggi sia opportuno finalmente guardare avanti, prendendo atto del fatto che le artiste e gli artisti in Italia soffrono della stessa malattia, non sono riconosciuti come le altre professionalità e sono scarsamente valorizzati. In un Paese che è sempre troppo impegnato su altre questioni, gli artisti tutti, non trovano spazio per sbocciare e sopravvivono in una sorta di limbo, nell’attesa perenne di una svolta.



Laura Renna, Ovale, 2007, felted mattress wool, 10x550x350 cm
Exhibition view of the Phantasmata, Palazzo Averoldi, Meccaniche della meraviglia 2018, Brescia. Photo by Alberto Petrò


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Percepisco una tensione comune in molte delle ricerche artistiche femminili che si manifesta in modo chiaro nelle loro opere, le quali appaiono a volte fragili e delicate, sempre profonde. Credo che questo modo delle donne, di fare e percepire l’arte, abbia insegnato anche alle nuove generazioni di artisti uomini una ʽsensibilità femminile’. Questa è la prova del mutamento in atto che ne consegue dalla grande attenzione ricevuta dalle artiste negli ultimi decenni.

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Non mi pongo in modo diverso quando conosco qualcuno, uomo o donna non fa alcuna differenza, ciò nonostante ho potuto constatare che le collaborazioni avute con professionalità femminili sono molto più numerose. Negli anni ho conosciuto molte più critiche, curatrici, galleriste, direttrici di musei e artiste con le quali si è instaurato un legame duraturo fatto di rispetto e di stima reciproca, con alcune di vera amicizia, probabilmente dovuto a quell’attitudine alla perseveranza che ci contraddistingue.



Laura Renna, Horizon, 2018, plastic curtain, 720x460x450 cm,
installation view of the Shenzhen Biennale 2018, Shenzhen, China


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Non mi sono mai sentita svantaggiata in quanto donna, semmai il contrario.

Quali sono gli elementi peculiari della sua espressione rispetto al ʽfemminile’ rappresentato esplicitamente o velato?

Sicuramente la mia pratica proviene da quel ʽfare’ femminile di cui parlavo prima. Sperimento tecniche che riportano alla tradizione artigianale, nell'intento di far trovare luce (nel giusto riconoscimento) a quel lavoro oscuro tenacemente coltivato, tuttavia la mia ricerca è incentrata su tematiche diverse, non strettamente collegate al femminile, temi che riguardano tutti, come il rapporto con la natura e la trasformazione come pratica rigenerativa materiale e immateriale.


Laura Renna, Substantia, 2020, hypericum juice on cotton sheet, 215x250 cm





Ivana Spinelli (artista e docente di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Bologna)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile.Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?


Le donne fino al XIV secolo potevano dipingere fintanto che facevano decorazioni, fiori, qualche paesaggio ma in ogni caso le attività di studio erano precluse alle brave ragazze e solo poche eccezioni sono riuscite a non soccombere. Quando studiavo storia dell’arte solo vent’anni fa i libri di testo erano zeppi di artisti uomini, bianchi e occidentali che abbiamo ammirato ma che sono solo una parte della storia. La storia è una selezione di eventi, una narrazione che oggi stiamo lentamente reintegrando delle figure trascurate, delle attribuzioni sbagliate e lentamente il panorama si allarga splendidamente. Oggi sono tante le ragazze che hanno accesso alla possibilità di fare arte, in Accademia, per esempio, dove insegno scultura, ho una maggioranza di studentesse che fino a qualche anno fa era impensabile, tuttavia, come dimostrano anche le statistiche diffuse dalle Guerrilla Girls, ciò non garantisce che nei musei vedremo lo stesso riconoscimento per tutte e tutti.

Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Credo che le donne siano accomunate da un profondo inconscio comune che si riversa nella vita in momenti di consapevolezza o di rifiuto. Trovo che le artiste degli anni ’60-’70 hanno infranto dei tabù rispetto al corpo e all’autorappresentazione e alcune di queste riscritture oggi si rischia di darle per scontato. Donne non si nasce, si diventa, diceva Simone De Beauvoir. Poi c’è stato il pensiero della differenza… Non amo pensare a un unico fil rouge, piuttosto una complessità del mondo e della persona, che va liberato dalla stringente struttura patriarcale.



Ivana Spinelli, Testo, rifugio per viventi 2, detail (2020)
Canvas bag in natural fabric, spray paint, acrylic, branches, play dough, resin, wadding, 71x190x9 cm

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Intravedo progetti, gruppi, ricognizioni ma non mi sembra ci sia un unico network.


Ivana Spinelli, Global Sisters 2 (27), inchiostro di china su carta, 24x33 cm, 2008

Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Difficile leggere la qualità di alcuni ostacoli perché spesso li attribuiamo a pure mancanze individuali e non dovuti a una struttura sociale. Ho sicuramente sperimentato l’invisibilità e la mancanza di voce in alcuni momenti.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?


Sono molti i lavori in cui inciampo nella necessità di indagare il femminile, ma soprattutto in due lunghi cicli, le Global Sisters (iniziate nel 2004, 2005) e Zig Zag Protofilosofia, a partire dal 2017. Mentre da una parte cerco di delineare alcuni stereotipi e ambiguità dell’estetica del terrore, del corpo perennemente al centro del conflitto, negli anni recenti ho sentito la necessità di guardare molto indietro fino alla preistoria, dove ho con grande meraviglia trovato un linguaggio potente ed energetico che mi dà modo di inserire nel presente-futuro i semi per un dialogo tra femminile e maschile tracciato attraverso dinamiche di collaborazione o almeno attraverso il tentativo di uno sguardo aperto.

Ivana Spinelli, Global Sisters 2 (11),
china su carta,
21x17 cm , 2008

Ivana Spinelli, Scaletta v^v^v Scultura felina (2020)
Wood, spray paint, crochet, wheels, wadding, 87x89x31 cm.
Courtesy GALLLERIAPIÙ and the Artist. Photo Stefano Maniero






Francesca Tulli (artista visiva,Roma)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile.Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?


Sono state sicuramente anche ʽfemmine umane’ a realizzare parte dei graffiti rupestri che ancora oggi possiamo ammirare nelle grotte di ad Altamira o Lascaux o a produrre piccole statuette rituali. La donna agli albori della vita umana forse è stata più vicino all’arte di quanto possiamo immaginare. Lo sviluppo della superiorità fisica dell’uomo rispetto alla donna limitata dai lunghi periodi della gravidanza ha fatto sì che per una migliore possibilità di conservazione della specie i ruoli tra uomo e donna si demarcassero sempre di più e già da tempi antichissimi alla donna è stato affidato quello quasi esclusivo di nutrice e protettrice della prole. Giusto? Sbagliato?… Certo è che le donne facendo meno ʽesperienza del mondo’ sono state considerate per lungo tempo poco idonee a esprimerlo, interpretarlo e rappresentarlo attraverso l’arte. Due momenti sono stati importanti per offrire un’apertura alla donna Artista. Il primo il Rinascimento poiché mettere l’essere umano al centro dell’Universo non poteva ideologicamente escludere le donne. Il secondo, l’Illuminismo, che esaltando il genio della ragione non ha potuto non comprendere il valore dell’intelletto e delle capacità artistiche di alcune donne coraggiose. In Inghilterra (dove non c’è stata l’azione repressiva di Napoleone nei confronti delle donne), alla fine dell’Ottocento, i primi movimenti ʽfemministi’ sono riusciti a conquistare il diritto di voto. Infine, un grandissimo aiuto è arrivato dal progresso tecnologico. Naturalmente mi riferisco alla sola cultura occidentale. Credo che gli uomini abbiano sempre cercato di osteggiare la presenza femminile nell’arte, nel pensiero speculativo e nella cultura in genere, temendo di perdere privilegi e potere e non per ultimo per paura di confronto e concorrenza in campi tanto essenziali al progresso della vita e del pensiero. In Italia, noi donne possiamo votare solo dal 1946, ma le donne artiste oggi sono riuscite a conquistare una posizione di rilevante libertà espressiva e hanno, nella grande maggioranza dei casi, possibilità di farsi strada nell’ambito artistico senza trovare gravi ostacoli legati a problematiche di genere. Oggi le donne in Italia nel campo dell’arte e del pensiero speculativo hanno buone opportunità di visibilità e hanno potuto accedere a situazioni in cui è riconosciuta la loro adeguatezza e parità con l’altro sesso, certamente rispetto a tutti i secoli di vantaggio che gli uomini hanno avuto nella possibilità di esprimersi con l’arte, le donne hanno una giovane storia.


Francesca Tulli, Caldo interno, 2012, olio su tela, 210x120 cm

Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rougeche annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Sinceramente non riesco a vedere un fil rouge che unisca le anime artistiche femminili, anzi mi sembrerebbe limitativo se si evidenziasse, infatti fino a che si considererà l’arte femminile con delle caratteristiche di riconoscibilità si farà un cattivo servizio al pensiero speculativo universale che le donne sono in grado di esprimere. Ciò non toglie che in arte ci si possa occupare comunque di tematiche inerenti alla realtà muliebre. Ci sono sensibilità diverse tra gli esseri umani e al tempo stesso aspetti diversissimi convivono in un singolo artista, cortocircuiti di energia si concentrano nell’opera caricandola di tensione e generando un pensiero innovativo e suggestivo.

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Le donne oggi hanno imparato a fare rete, a sostenersi. E questa disponibilità di donne a prestare attenzione al lavoro di altre donne è un riconoscimento importantissimo. In passato purtroppo sono state talvolta proprio le donne stesse a diffidare del lavoro artistico femminile. Finalmente da qualche tempo questa ultima barriera è definitivamente caduta. In tutti gli ambiti c’è consenso e apprezzamento per l’arte al femminile. Sono molte le donne che nei vari settori delle attività legate al mondo dell’arte, esternano la volontà e la necessità di scoprire e ritrovare le compagne di percorso, di valorizzarle e metterle in luce. Avverto un movimento positivo al femminile carico di energia che vuole attribuire alle donne, nell’ambito dell’arte, il posto che loro compete. Questo è reso possibile dal fatto che molte donne ricoprono oggi ruoli significativi come direttrici di musei, curatrici, critiche e studiose di arte. La tecnologia digitale, inoltre, stimola lo scambio di informazioni e permette una visibilità prima d’ora inimmaginabile che sicuramente favorisce l’emersione e la diffusione del lavoro artistico in generale.


Francesca Tulli, Terra, Germoglio 2 , Germoglio 1, 2019- 2020, c.u. bronzo su asta di supporto

Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

La libertà sessuale conquistata negli anni ’60-’70 ha permesso alle donne di arrivare a una libertà di azione e di pensiero imprescindibile per una reale parità dei sessi. Sono state necessarie azioni eclatanti, cortei e dimostrazioni per affermare la necessità di equiparazione di tutti i diritti tra uomo e donna. La responsabilità della donna rispetto al proprio corpo è stata una enorme conquista, un fondamentale obiettivo raggiunto. Mi spaventa però che ai nostri giorni nello stesso mondo ʽglobalizzato’ ci sia da una parte l’affermazione delle donne che, anche se faticosamente, conquistano posizioni di potere sempre più apicali, mentre parallelamente dall’altra parte si riscontra l’atteggiamento repressivo di alcune culture integraliste che stanno riportando indietro e di molto il pensiero sulla parità dei diritti di genere. Sono cresciuta in una famiglia di donne, tre sorelle, con tre nipoti tutte donne, ma mio padre ci ha educate insegnandoci che non c’era alcuna cosa che non potessimo fare come se non meglio di un uomo. Io mi sono percepita sempre come un individuo pensante e non mi sono mai preoccupata troppo delle difficoltà che incontravo in quanto donna-artista. La mia personale Necessità espressiva, condizione non discutibile, è stata la forza che mi ha spinto a procedere senza cambiare direzione nonostante le difficoltà. Oggi la situazione dell’artista donna in Italia è molto diversa da quella di 20, 30 anni fa. Quando ho iniziato a lavorare le donne nel campo dell’arte non erano molte e la diffidenza riguardo al lavoro artistico femminile era palpabile. Affermare il mio lavoro artistico come donna è stato impegnativo e faticoso. Ma sono state proprio alcune donne che per prime mi hanno dato l’opportunità di esporre nelle loro gallerie, mentre diversi galleristi uomini escludevano pregiudizialmente le artiste. Da parte della critica sia maschile che femminile ho trovato sempre sostegno e avere al fianco un uomo che ha sempre capito e condiviso la mia passione artistica e la vita è stato molto importante.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?


Penso che maschile e femminile coesistano sempre. Non saprei dire se nel mio codice espressivo artistico ci sia una componente specificamente femminile. Le differenze fisico-biologiche maschili e femminili certamente esistono. La donna è madre e con la gestazione vive la magnifica esperienza, negata all’uomo, di sentire crescere un essere dentro di sé per poi darlo alla luce. Io non ho avuto figli, e mi dispiace, anche se non ho mai sentito per questo la mia capacità creativa limitata o parziale. Con il mio lavoro ho sempre cercato di interpretare il mondo, di pormi interrogativi. Nelle mie opere pittoriche, prospettive esasperate e luci taglienti trasformano tranquilli interni casalinghi in spazi carichi di tensione. Nelle mie opere scultoree l’umanità è inquieta, sempre in bilico a testa in giù, sempre all’erta per difendersi (penso alla serie di lavori Armi bianche) e in fase di evoluzione in ibridi mutanti. In queste tematiche si potrebbe forse cogliere l’espressione di una condizione femminile, ma preferirei si riconoscesse l’espressione della condizione umana alla ricerca di un proprio equilibrio.

Francesca Tulli, Vertigo, 2009,
bronzo, legno e stampa digitale h 34 cm

Francesca Tulli, Umana natura, 2018, resina su base in cement, h. complessiva 3,40 m - Parco Sculture in Campo di Bassano in Teverina





Lucia Veronesi (artista visiva, Venezia)

Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Mentre provo a rispondere a queste domande penso: «siamo ancora qui a parlare di queste cose». Non vedo la donna nell’artista, parlare di ʽartiste donne’ e ʽartisti uomini’ porta a una separazione che etichetta il nostro lavoro come ʽfemminile’, ʽdi genere femminile’, e lo identifica con stili prestabiliti, pregiudicati, mortificandolo. Forse ha più senso parlare e soprattutto lottare contro lo stereotipo della donna e dell’uomo e di tutto ciò che sta a cavallo tra i generi andando oltre il lato puramente biologico. Sappiamo perfettamente (la teoria) che la differenza sessuale è relativa, storica, soggetta al cambiamento ma viviamo (la realtà) come se fosse invece un dato naturale, originario e immodificabile. I concetti di femminile e maschile sono dinamici e devono essere storicizzati e contestualizzati.
Quindi se non proviamo a colmare questo divario tra teoria e realtà saremo sempre condannati a parlare di statistiche, e non voglio essere fraintesa, dobbiamo ancora parlarne. I dati sono sempre molto eloquenti: poche donne curatrici di musei o con ruoli dirigenziali con salari non adeguati, quotazioni più basse alle aste e la percentuale delle artiste rappresentate nelle grandi mostre, anche a livello nazionale, è sempre molto inferiore rispetto ad artisti uomini. Sarebbe bello che non ci fosse più bisogno di fare statistiche per contare quante artiste donne sono presenti in Biennale, nei musei, nelle mostre e nelle gallerie. Forse a quel punto avremmo vinto, tutti.

Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

L’espressione arte declinata al femminile mi fa rabbrividire. Le specificità separano e ghettizzano: certo ci sono delle sensibilità e delle inclinazioni diverse in ogni artista, ma mi piacerebbe parlare di arte e basta, del lavoro dell’artista, della professione artista, senza specificazioni di genere maschile o femminile.

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

Io per ora non ne conosco, ma in questo anno di pandemia sono successe delle cose a cui ho partecipato anche io. Si sente nell’aria un nuovo fermento e una bella energia che ci chiama a conoscerci in maniera più profonda, prima come persone e poi come artiste. Quindi, più che di network parlerei di momenti storici che danno il via a nuove connessioni e sodalizi.


Nonostante il pensiero, 2020,
tessuti, tessuti stampati, plastica, filo, cinghie, fibbie, 250x152 cm
Vista dell'installazione, Castenedolo, Brescia


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

I tempi sono cambiati: artiste che erano attive negli anni Settanta mi hanno raccontato che si sentivano parecchio isolate in un mondo di artisti uomini e quindi era naturale, e coraggioso, unirsi e lottare insieme contro una società artistica, prettamente maschile. Oggi si vive in una condizione diversa, anche grazie a critiche militanti (ad esempio Lea Vergine) che si sono battute per noi e quel tipo di isolamento è diventato più una frammentazione. Certo mi è capitato di incontrare dei curatori e degli artisti palesemente misogini in situazioni di residenze e di esperienze comunitarie: non è stato piacevole.
Preferisco però citare esempi di esperienze che hanno unito e non diviso: insieme ad altri ho fondato Spazio Punch, uno spazio no profit a Venezia, collaboro con Yellow, un altro spazio non profit tra Varese e Milano e faccio parte di un collettivo di Milano, Atrii. Per me sono modi di aggirare gli ostacoli prima ancora di incontrarli.

Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

Non ho mai pensato di avere ingredienti linguistici femminili. Significherebbe dirsi, ogni volta che inizio un lavoro «Ok Lucia, ricordati che sei donna». Da qualche anno uso, oltre a tanti media, i tessuti e la macchina da cucire come materiale principale per i miei lavori ma non per questo la mia arte è ʽfemminile’. Ci sono dei media che sono più maschili e altri più femminili? Sarebbe catastrofico pensarlo.
Chissà che risultati darebbe fare un test provando a indovinare, davanti a delle opere d’arte, se sono fatte da un uomo o da una donna. Negli ultimi mesi ho letto saggi che parlano della condizione della donna nel mondo della scienza e del design, di come viene rappresentata. Sto frequentando un ciclo di lezioni sulle donne dimenticate sulla storia dell’astronomia e mi sono interessata al movimento delle suffragette. La citazione di un mondo più femminile che maschile va e viene nel mio lavoro. Non è intenzionale né rivendicativa nel senso politico del termine. Certi lavori nascono in periodi particolari, anche per coincidenze storiche e sociali, forse in questo momento sono dentro a una di queste coincidenze.


È successo il mare, 2020,. tessuti, tessuti stampati, plastica, filo, cinghie, fibbie, cerniera, 308x350 cm
Foto di Augusto Maurandi





A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 5, maggio 2021, anno XI)
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