Alessandro Bertante: «La scrittura deve dare risposte complesse a delle tematiche complesse»

Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori candidati al Premio e quelli segnalati all’edizione n. 76, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Alessandro Bertante, nato ad Alessandria nel 1969, è uno dei 12 candidati al Premio Strega 2022 con il romanzo Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR (Baldini+Castoldi, 2021). Luca Doninelli lo presenta così: «Il primo pregio del romanzo è quello di ricostruire il clima umano di quel tempo, inserire i discorsi, gli slogan, le priorità di quel tempo e di quel mondo nelle giornate e nei pensieri di un giovane di quel tempo: l’ideologia intesa non solo come passione politica ma anche come fattore unificante per biografie che la vita borghese concepiva come sempre più frammentate (famiglia, lavoro, interessi, hobby). Bertante è il narratore coraggioso e intelligente di quella generazione, la più sfortunata di tutte, vittima sacrificale di errori altrui. E il suo lavoro merita la nostra attenzione».


Milano, 1969. Università occupate, cortei, tensioni nelle fabbriche. Il 12 dicembre la strage di piazza Fontana.  Lei affronta un tema spinoso e drammatico. Ciò, evidentemente, ha richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposto di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?

Io, innanzitutto, sono laureato in storia contemporanea con una tesi sui movimenti underground degli anni ’70, che poi è anche diventato un libro anni dopo. Il mio correlatore era Giorgio Galli, uno dei più grandi esperti di Brigate Rosse in Italia. La ricerca storica è stata accurata, si inserisce in un contesto storico che per me era assolutamente importante e per questo ho scelto la prima persona. Ho immaginato di essere uno dei due componenti delle Brigate, parlo in prima persona, perché il romanzo è scritto in prima persona e il protagonista potrebbe essere uno dei due brigatisti.


«Mordi e fuggi», scrivono i brigatisti. Ci svela il sotteso di questo slogan?

Mordi e fuggi è una frase di Mao Tse-Tung, che ha fatto per lungo tempo la guerra di guerriglia contro l’esercito del Kuomintang. Mordi e fuggi, invece, per i brigatisti significava colpire e rimanere nell’ombra, però nell’ombra fino a un certo punto, perché i brigatisti rossi che descrivo io, cioè quelli dei primi tre anni, sono una realtà assolutamente milanese, molto radicata nelle fabbriche, che però aveva scelto il gesto esemplare, gesto di propaganda, loro la chiamavano la propaganda del fatto, come prassi di lotta politica. Compivano gesti che avevano come pubblico gli operai della fabbrica di Milano ed erano per certi versi dei personaggi mitici, famigerati, molto diversi dalle Brigate Rosse successive, cioè quelle che sparavano, cioè dal ’73 in poi.


Il percorso narrativo si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole suspense. Si possono davvero chiudere i conti con il passato, nella fattispecie politico?

I conti in quella stagione non sono mai stati chiusi e non si chiuderanno mai, la strage in Piazza Fontana non ha ancora adesso nessun colpevole dal punto di vista giudiziario, anche se dal punto di vista storico è chiaro, è stata una strage di Stato voluta dai gruppi neofascisti, con la collaborazione dei servizi segreti italiani e di parte delle forze armate. Per quanto riguarda invece il libro, i flashback narrativi, in realtà ha una forma piuttosto lineare, sono tre anni che avanzano in senso lineare, dal 1969 al 1972. La forma della retrospezione, del flashback, è un unico lungo flashback che fa il protagonista sul finale mentre è sul treno per raggiungere un luogo di colline isolato.  


Traducendo Brecht
di Franco Fortini recita: «Fra quelli dei nemici; scrivi anche il tuo nome». Quanto ha inteso disturbare la falsa coscienza di tutti noi mediante una narrazione così poco rassicurante e confortevole circa una pagina davvero nera della Repubblica italiana?

Io non sono uno scrittore rassicurante, sono uno scrittore che crea domande, quesiti e ogni tanto, magari, riesce a dare qualche risposta. Non era quello il mio intento, il mio intento era cercare le motivazioni per le quali un ventenne potesse aderire alla lotta armata rinunciando praticamente a tutta la sua vita mettendosi in clandestinità, facendo crimini. Le motivazioni mi sembravano molto importanti perché sono scelte radicali e dalle quali non si torna indietro.


La lotta politica, l’adesione a una causa: i nostri tempi possono ospitare, a suo avviso, siffatti propositi di cambiamento sociale attraverso il canale della Letteratura?

No, assolutamente no. La letteratura ormai è un mezzo marginale di promozione di istanze ideali e diventerà, come mi disse Saramago quando lo intervistai, la letteratura diventerà quello che è sempre stato, ovvero un meraviglioso passatempo per una élite di persone culturalmente elevate. Questa è la verità dei fatti secondo me e lo so perché da professore universitario ho a che fare con migliaia di studenti che vedono il libro in quanto tale, oggetto ostile a loro non vicino, sono troppo distratti dai dispositivi elettronici e dà comunque una forma di comunicazione più veloce.
La scrittura deve portare una riflessione, deve portare forse delle domande, deve portare alla complessità. Noi viviamo in un periodo in cui le risposte sono semplici, banali, veloci. La scrittura deve saper dare delle risposte complesse a delle tematiche complesse.


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Il genere mimetico per eccellenza ed è giustamente espressione della borghesia, dalla sua fondazione nel ’500 ai nostri tempi. Poi con l’arrivo della fotografia, del cinema, della televisione, si è contaminato, ha cambiato forma, è più veloce, più ritmato, meno descrittivo da un punto di vista anche del topos della visione. Certo è che è un mezzo molto agile, il migliore che abbiamo per raccontare storie. Il problema vero riguarda quanto gli altri mezzi di comunicazione, ovvero le serie, riusciranno ancora a usare come fonte la forma romanzo o quanto la forma romanzo si adatterà a queste nuove forme di comunicazione, in pratica perdendo la propria identità. Questa è la domanda del futuro.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Ci sono molte più scrittrici, ci sono molte più lettrici, non credo ci sia un genere di letteratura femminile, perlomeno forse esiste a livello commerciale. In Italia conosco scrittrici di talento e anche però una vasta area di scrittrici mediocri che hanno anche un seguito. Io però non farei mai una questione di genere in letteratura, credo che le grandi scrittrici e i grandi scrittori facciano parte della stessa categoria, ovvero, i narratori di razza.


La letteratura romena è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Quelli che ha citato innanzitutto. Gli scrittori romeni sono abbastanza tradotti in Italia, nell’ambito dell’Est Europa sono probabilmente i più rappresentati in Italia, insieme ai russi senz’altro. La letteratura romena vive di una fervida attività in Italia, questo credo perché esistano antichi legami culturali fra i due paesi e anche un certo tipo di memoria linguistica simile. Sarebbe da approfondire questo argomento perché è interessante.









A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 5, maggio 2022, anno XII)