Alessandro Zaccuri: «La letteratura è l’arte della possibilità»

Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori candidati al Premio e quelli segnalati all’edizione n. 76, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Alessandro Zaccuri, nato a La Spezia nel 1963, è stato segnalato per il romanzo Poco a me stesso (Marsilio, 2022). Helena Janeczek lo presenta così: «Alessandro Zaccuri dev’essersi divertito a scrivere questo libro e ce lo trasmette sin dalla prima pagina. Come sarebbe stata la nostra letteratura se il figlio di Giulia Beccaria fosse nato nel giorno in cui nacque, ma senza poter diventare il Manzoni? Sarebbe stata piena di romanzi sfavillanti di intrighi e di uno stile a bell’effetto, ma neanche lontanamente all’altezza dei Promessi Sposi. Con un esperimento mesmerista ringiovanente, un atto d’amore un po’ folle come lo è il povero contabile perseguitato da quell’altro, Zaccuriha voluto dedicare proprio questo genere di romanzo aAlessandro Manzoni».


Il barone de Cerclefleury ed Evaristo Tirinnanzi: ammaliatore e sicuro di sé il barone, tartagliante e oscuro il contabile. Questi i protagonisti di Poco a me stesso. Lei gioca con specchi e rimandi. La letteratura è divertimento, menzogna, illusionismo?

La letteratura è l’arte della possibilità. Una delle arti della possibilità, magari, ma di sicuro quella che io conosco meglio. Anche Manzoni (che di Poco a me stesso è il protagonista implicito) si interroga molto su quanto di vero possa nascondersi nel verosimile. O, se si preferisce, di quanta menzogna sia necessaria per dire almeno un po’ di verità. Il divertimento, poi, è una questione che ogni lettore risolve nel confronto silenzioso con l’autore. Manzoni, come lettore di sé stesso, deve essersi divertito moltissimo.


Il palazzo di Brera, gli antri malfamati del Bottonuto: la Milano di metà Ottocento. Come si è allontanato dalle rotaie del tram che pur vengono percorse quotidianamente dai più?

Ho semplicemente seguito le strade del grande romanzo ottocentesco: Dickens, Balzac, Dumas. Ma soprattutto Dickens, appunto, lo scrittore delle dimore borghesi e degli slum. Anche nei Promessi sposi, però, la città ha sempre una natura ambigua, insidiosa e ingannevole. Il che non le impedisce, alla fine, di essere il luogo del riconoscimento e della salvezza.


Macchinazioni, intrighi, segreti, misteri, verità sapientemente celate, insabbiamenti, enigmi: sono ingredienti essenziali del giallo. Il suo romanzo in che misura diverge dal genere codificato?

Mi piace pensare che, più che nei confronti del giallo, questo libro sia in debito con la tradizione del feuilleton, che in Italia risulta meno diffusa che altrove solo perché il nostro vero romanzo popolare è stato il melodramma, l’opera lirica. Non per niente, Verdi ammirava Manzoni e fu per lui che compose il suo Requiem.


Il suo è il racconto della vita supposta e mentita di Alessandro Manzoni. Lei ha reso attuale la lingua italiana di due secoli fa. Da quali propositi è stato mosso?

Da un’esigenza di realismo. Per vivere una storia come questa e, più che altro, per credere in quello che stanno vivendo, i personaggi non potevano servirsi se non di una lingua enfatica, desueta e irrevocabile. La lingua non forma solo i nostri discorsi, ma anche i nostri pensieri. Per pensare quello che pensano, le creature di Poco a me stesso devono per forza parlare in questo modo.


La contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni oralità/scrittura e poesia/prosa, ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo, tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo di un autore è condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del digitale?

Nel mio libro c’è molto odore di carta, lo so: quel particolare odore di stantio che viene dalla carta conservata malamente. Eppure, nello stesso tempo, il digitale ci permette di recuperare facilmente molti testi dell’Ottocento che altrimenti sarebbero consultabili solo in biblioteca. Un lettore, quando è appassionato, legge comunque, su qualsiasi supporto. Spesso, a suo rischio e pericolo, legge sul volto delle persone che incontra.


Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbe essere il ruolo della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Rivendicare e ampliare il sentimento della complessità, a partire dalla complessità della lingua, del lessico, della sintassi.


Hegel sviluppa una definizione del romanzo: esso è la moderna epopea borghese. Lukács afferma che questo genere, essendo il prodotto della borghesia, è destinato a decadere con la morte della borghesia stessa. Bachtin asserisce che il romanzo sia un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi. Oggi, si notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede di un genere che continua a sfuggire a ogni codice?

Il romanzo è ibrido e meticcio fin dalle origini. E lo è in particolare nella versione manzoniana di «componimento misto di storia e d’invenzione». Dove il dilemma sta proprio nel rapporto variabile tra invenzione e storia. Per quello che mi riguarda, siamo ancora a questo punto, ed è giusto che sia così.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Samuel Butler era convito che «l’autrice dell’Odissea» fosse una fanciulla siciliana per molti aspetti simile a Nausicaa, più di recente Harold Bloom ha sostenuto la tesi che nel Pentateuco ci sia la mano di una principessa della corte di Salomone. Senza dimenticare Saffo, Christine de Pizan, Vittoria Colonna. La letteratura femminile non è meno antica di quella maschile, è solo meno percepita e frequentata. Oggi, per certi aspetti, è diventata addirittura preponderante. L’essenziale, secondo me, è che conservi una sua libertà di sguardo, una sua capacità di interpretare il mondo in chiave anticonvenzionale.


La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. Quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Non abbastanza conosciuta, anche se posso dire di aver letto molti degli autori e delle autrici a cui fa riferimento la domanda. Alcuni, anzi, li ho perfino conosciuti e intervistati. Personalmente le mie preferenze vanno a Cărtărescu: per le sue poesie abbacinanti, oltre che per i suoi formidabili romanzi.







A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 5, maggio 2022, anno XII)