Alessio Forgione: «La vita è uno scherzo, mentre la letteratura è una cosa seria»

Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori segnalati all’edizione n. 76 del Premio, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Alessio Forgione, nato a Napoli nel 1986, è segnalato per il suo terzo libro, Il nostro meglio (La Nave di Teseo, 2021), dopo Napoli mon amour (NN Editore, 2018) e Giovanissimi (NN Editore, 2020), candidato al premio Strega 2020. Di, Il nostro meglio, Wanda Marasco scrive: «è un romanzo ipnotico. La scrittura di Alessio Forgione, con la forza della verità e della poesia, inchioda a una dolorosa realtà in atto. [...] Ma Alessio Forgione ha scritto anche un romanzo di incomparabile dolcezza, rivoluzionario, fondendo la lezione del neorealismo e la suggestione del flusso di coscienza. Leggendolo si viene conquistati da una lingua-partitura, capace di mimare il battito percussivo della realtà e l’onda dei moti interiori».


In Il nostro meglio, seguendo Amoresano fra le periferie di Soccavo e Bagnoli e il centro della città di Napoli, lei compie una ricerca di senso percorrendo vuoti e fratture dei luoghi e del tempo. Reputa che un genere letterario come il romanzo possegga l’intensità per scarnire l’uomo nella sua molteplicità e interezza?

Mi sembra che l’arte fornisca uno specchio alla realtà, poi non so. Come Amoresano, anche io sono prevalentemente cresciuto a Soccavo, un quartiere che non esisteva e che poi di colpo è esistito, dal giorno alla notte. Dunque, credo di ricercare un passato comune e meno insulso di quello che abbiamo.


Un giovane uomo, arricchito da una vita familiare i cui protagonisti sono altresì i nonni, addolcito da un legame d’amicizia, scosso da una relazione amorosa, percorre le pagine de Il nostro meglio. Perché i legami sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di esiliare e incantare, riunire e frammentare, annichilire e generare?

Perché gli altri sono deludenti. Le persone sono quasi sempre deludenti. Fino all’ultimo non sai dove e quando e come ti tradiranno. Eppure uno non si arrende e non si chiude in un convento o non va vivere sulla cima di una montagna. Resta tra le persone e continua a collezionare delusioni.


Tra le pagine si coglie l’introversione, la scontrosità, l’inquietudine e la disubbidienza adolescenziale. Quali tratti assume la giovinezza nella ricerca di coordinate, d’interpretazioni univoche della realtà, di superamento delle contraddizioni?

Non lo so. Sono stato giovane molto tempo fa e in genere non mi faccio questo tipo di domande. La mia è stata una giovinezza frustrata, ignorante, volgare, non avevo alcuna possibilità né di vivere né di fare quello che volevo, e tanto mi basta per non provare alcuna nostalgia e, soprattutto, non pensarci.


Napoli mon amour, Giovanissimi e Il nostro meglio, quanto la sua scrittura integra la tradizione a ricerche espressive innovative?

Questa è un’altra domanda che assolutamente non mi pongo. Io scrivo, punto. Non m’interessa come o cosa. Io scrivo perché scrivo. Non m’interessa capirmi né analizzarmi. Non so se sono più «tradizionalista» o «innovativo». Spero entrambe le cose e in realtà non lo spero, perché scrivere è un gesto non esattamente naturale, ma che fa parte della mia quotidianità, come fare i piatti o fumare al massimo dodici sigarette.


Dalla sua prospettiva, come cambia la vita per mezzo della letteratura?

La vita è uno scherzo, mentre la letteratura è una cosa seria. La vita non ha senso e la letteratura non ne trova uno, ma almeno parla.


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Tra momento storico e letteratura esiste una differita. Almeno per me, l’oggetto, qualsiasi, che la letteratura ritrae, il soggetto o il momento storico, viene ritratto mediante il tempo. L’unico strumento della letteratura è il tempo, e se per dipingere serve un pennello, per fare della letteratura serve del tempo. Non esiste che un libro esca e sia immediatamente importante. Quelli non sono importanti, ma chiacchierati, ch’è diverso. Il tempo serve per scrivere e per capire cosa è stato scritto. Il tempo ci rivela i libri. A leggere Proust nel 1922, forse, ci si soffermava sugli arredi dei salotti. Oggi, invece, su come ha distrutto il concetto di tempo antecedente a lui.


La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. Quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Ti faccio il mio esempio: dei nomi fatti ho letto solo Cioran e Cărtărescu. Cioran l’ho sempre trovato molto povero e molto banale in questa sua piattissima desolazione. Mi ricorda quegli amici che ti chiamano solo quando sono tristi e io di questo tipo di amici penso che a) non faccio lo psicologo e che b) se pure fosse, andrei pagato. A leggere Cioran, da ragazzo, mi sembrava di fargli un piacere o di fargli compagnia, e a me cosa ne tornava? Non m’interessa, dunque, perché non m’interessano i lamenti e i piagnistei. Cărtărescu, invece, è un grandissimo scrittore. Uno dei tre, quattro grandi viventi. Non so quante persone esistano al mondo capaci di seguirlo, di leggerlo, di amare davvero Cărtărescu, però lui è esattamente quello che io reputo un grandissimo scrittore.







A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 4, aprile 2022, anno XII)