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    Andrea Caterini: «Oggi la letteratura non ha alcuna influenza sulla vita sociale»
         
         
     
       La nostra rivista inizia una nuova inchiesta a cura  di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, questa volta nel campo della critica  letteraria, con diversi argomenti di attualità e un'ampia indagine sulla  ricezione della letteratura romena in Italia, un tema di  particolare interesse per  noi.  
        Nell’ambito dei nostri Incontri critici, qui il dialogo con .Andrea  Caterini (n. 1981), scrittore e critico letterario. Tra le sue pubblicazioni, i romanzi La  guardia (Italic Pequod, 2010) e Giordano (Fazi, 2014, Premio Volponi 2015) e i libri saggistici Il  principe è morto cantando (Gaffi, 2011), Patna. Letture dalla nave del dubbio (Gaffi, 2013, finalista Premio Brancati), La  preghiera della letteratura (Fazi, 2016, Premio Prata per la saggistica), Ritratti e paesaggi. Il romanzo moderno (Castelvecchi, 2019) e L’oblio della figura.  Nella stanza di Giorgio Morandi (Sillabe, 2020). Ha scritto poi il romanzo-saggio Vita di un romanzo (Castelvecchi, 2018). Nel 2018 gli è stato  assegnato il Premio Giuseppe Bonura per la critica militante nella sezione  ‘under 40’. 
         
         
        Andrea,  lei, oltre a occuparsi di critica letteraria, è uno scrittore di chiara fama;  ha ricevuto altresì numerosi riconoscimenti. Può indicarci la sua cifra  stilistica e se, attualmente, sperimenta vie e percorsi di un genere ibrido  qual è il romanzo? 
         
        Scrivere è  necessariamente sperimentare. A me ha sempre interessato una forma stilistica  che seguisse il disegno di una mente. Mentre scrivo mi accorgo di ragionare.  Per questo la mia scrittura segue una linea che direi analitica. Mi interessa  poco della storia, o dell’intreccio. È il disegno che la mente mi fa  percorrere, un disegno molto spesso misterioso, la cui logica è impossibile, a  interessarmi, sia quando scrivo libri narrativi, sia quando di altri libri  ragiono. 
         
         
        Lei, in Vita  di un romanzo, redige la biografia di una mente a lavoro. Non può definirsi  un libro di critica letteraria e neppure un romanzo, piuttosto un «romanzo-saggio» in cui la «voce narrante» percorre stralci della propria vita, leggendo Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Ebbene, come cambia la vita  per mezzo della letteratura? 
         
        In quel libro  raccontavo come la letteratura avesse cambiato la mia di vita. Sono arrivato  tardi alla lettura, mentre facevo il servizio militare. In quelle ore passate a  fare la guardia in caserma, ore in cui ho scoperto cos’era davvero la  solitudine, ho cercato nella lettura una ragione all’esistenza. Era un atto  prima di tutto di rivolta a uno stato di cose che non comprendevo, che  rifiutavo. La lettura mi ha spalancato la possibilità di un mondo nuovo e  inesplorato. In Vita di un romanzo ho cercato di raccontare il modo, il  come la vita cambia per mezzo della letteratura. E il come è un fatto  stilistico, è la scoperta di una lingua in cui la vita risorge sulla pagina,  assumendo un senso nuovo. 
         
         
        Oggi, in  tantissimi scrivono romanzi, tuttavia ben pochi posseggono la contezza dei suoi  sviluppi, delle sue ragioni, altresì storiche e, specialmente, della sua  necessità. Lo «scrivere» è davvero necessario? 
         
        La parola «necessità» è più complessa di quanto si voglia far  credere. Necessario è ciò che è inderogabile, che è irremovibile. La storia  della filosofia è fondata sul concetto di necessità. Ma ci sono stati filosofi,  penso al russo Lev Šestov, i quali credevano che l’uomo sarebbe stato davvero  libero solo riuscendo a superare la prigione della necessità. La necessità è  inderogabile come il senso di colpa. Anche la scrittura, l’espressione,  dovrebbe nascere da questo, da uno slancio vitale che ci faccia superare questo  stato di colpa, compiere quel salto aldilà della morale, aldilà del bene e del  male, direbbe Nietzsche. 
         
         
        La  scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere  quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della  letteratura esperìta da donne? 
         
        Se devo  essere totalmente onesto, non credo esiste una letteratura femminile e una  maschile. Esistono i libri buoni e quelli cattivi. Esiste la vera letteratura e  quella che fa solo il verso alla letteratura, o insegue logiche di mercato o  mode vacue destinate a estinguersi in poco tempo. Per non eludere la domanda,  risponderò che non mi sembra di rilevare un libro davvero significativo di una  donna oggi in Italia. Le scrittrici mi sembrano molto più interessate alla carriera,  e più in generale a quelle cose che con la letteratura non hanno nulla a che  fare. Si servono della letteratura per scopi che con la letteratura non  c’entrano nulla. Poi, dovessi fare due nomi di scrittrici che mi interessa oggi  leggere in Italia, direi Simona Vinci e Deborah Gambetta. 
         
         
        Francesco  De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una "sintesi  organica dell'anima e del pensiero d'un popolo". Posto che la  letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito  e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione  della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo? 
         
        De Sanctis  viveva in una situazione sociale totalmente diversa. L’Italia, in quel momento,  la si stava facendo. C’era il mito del Risorgimento e dell’unificazione. E  anche la sua Storia della letteratura italiana, che ha delle pagine  meravigliose, nascondeva una necessità unitaria, appunto. E quindi le sue  scelte, il canone che ha costituito e che è rimasto immutato, era una scelta  arbitraria ma anche necessaria da compiere. Quel canone era un fatto anche  politico. La verità è che oggi viviamo in un tempo senza letteratura. Cosa  voglio dire? Che la letteratura non ha alcuna influenza sulla vita sociale. Ma  è un discorso troppo complesso, impossibile da esaurire in una risposta. 
         
         
        La  contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni  ‘oralità’/‘scrittura’ e ‘poesia’/‘prosa’, ma anche la possibilità di scelta tra  e-book/online e cartaceo, tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo  sguardo della critica è condizionato dal profumo della carta stampata o,  viceversa, dalla comodità del digitale? 
         
        Pur  comprendendo le comodità del digitale e quindi anche servendomene alle volte,  per me il libro resta legato alla carta. E questo perché i libri sono anche  oggetti della memoria, che appartengono alla nostra vita quotidiana. Qualcosa  che custodiamo, con cui passiamo le ore e i giorni. 
         
         
        Sono  passati più di trent’anni dalla pubblicazione dei primi libri della cosiddetta  letteratura della migrazione. Pensa che ci sia sufficiente attenzione su di  essa? Ritiene inoltre che abbia avuto qualche influenza nella produzione  letteraria degli autoctoni? 
         
        Difficile  parlare di influenze. È una questione che non riguarda solamente la letteratura  della migrazione. Posso dire che tutto influenza e niente lo fa. Ma non mi  sembra ci sia un grado d’attenzione tale da parte degli scrittori a questi  temi. O quanto meno, se pure un’attenzione ci fosse, è a me ignota. 
         
         
        La  letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è  costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista “Orizzonti culturali  italo-romeni” ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano:  1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche  tra i non addetti ai lavori? 
         
        In una certa misura torniamo al problema della domanda precedente.  Viviamo in un mondo globalizzato. L’effetto della globalizzazione è prima di  tutto la sottrazione, o la disgregazione, delle differenze e anche delle  identità. La letteratura non è estranea a questa condizione. Leggiamo tutto in  traduzione e uno scrittore americano, o francese o romeno, ci sembra un vicino  di casa. Sappiamo che non è così, ne siamo coscienti, così come siamo coscienti  che la terra in cui viviamo determina anche il nostro modo di stare al mondo.  Ma non possiamo fare a meno di avere questa sensazione di globalità in cui ogni  differenza – le nostre stesse radici – si dissipa. È un problema di cui non  conosciamo ancora totalmente le conseguenze, che non posso fare a meno di  immaginare spiacevoli. 
         
         
        Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea  Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo  e lo spazio, hanno narrato la burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono  noti e ci sono scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione? 
         
        Due nomi su tutti: Emil Cioran e Mircea Eliade. Li ho amati moltissimo.  Di Cioran mi ha sempre colpito il modo in cui, scrivendo, sembrava alimentare  il suo stesso pensiero, sempre a un momento dall’incendiarsi. Un incendio che  dava vita a un’estasi stilistica. Di Eliade, invece, ho amato i suoi studi sul  sacro, il suo lavoro antropologico.
      
  
         
      
 
        A cura di    Afrodita Cionchin e Giusy Capone 
          (n. 3,  marzo 2022, anno XII) 
         
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