La divulgazione del pensiero gramsciano in Romania. In dialogo con Angelo Chielli

In occasione dell’anniversario dei 130 anni dalla nascita di Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937), abbiamo intervistato Angelo Chielli, professore associato di Filosofia politica presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università «Aldo Moro» di Bari, nonché membro fondatore, presso la casa editrice Adenium di Iași, della collana «Biblioteca Gramsciana» insieme a Sabin Drăgulin, a Ioana Cristea Drăgulin e ad altri studiosi, romeni e italiani, del pensiero gramsciano.
A partire dal 2015, nella collana «Biblioteca gramsciana» sono stati pubblicati dieci volumi, di cui otto Quaderni del carcere di Gramsci, segnalati nel nostro database Italianistica Traduzioni, un volume di scritti del periodo pre-carcerario e un volume di sintesi. Dal 2021 la collana sarà trasferita alla Meridiane Publishing di Iași. Dell’attualità del pensiero gramsciano e della sua conoscenza in Romania ci parla il professor Chielli nell’intervista realizzata da Ioana Cristea Drăgulin.


Professor Chielli, come è nata l’iniziativa di tradurre in romeno i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci?

Come spesso accade il destino asseconda tendenze in atto. È stato il  caso a consentirci di avviare questa iniziativa. Il nostro incontro, presso il Dipartimento di scienze Politiche dell’Università Aldo Moro di Bari, favorito dal mai troppo compianto amico e collega dott. Vito Buono, è stato l’incipit di tutto (all’epoca, siamo nel 2013, il dott. Buono era Direttore Amministrativo del Dipartimento).
Il suo dottorato Il Risorgimento nella visione di Antonio Gramsci e la possibilità, in occasione del suo esame finale, di far incontrare alcuni docenti italiani (il sottoscritto e il prof. Guido Liguori, uno dei maggiori studiosi a livello internazionale su Gramsci) e romeni (Sabin Drăgulin, ordinario di Storia e Scienze Politiche, G. Stoica, ordinario di filosofia politica e il sociologo Mihai Milca, due gramsciani di vecchia data), ha fatto da detonatore dell’iniziativa.
Ovviamente anche il panorama culturale romeno stava cambiando. Immediatamente dopo la morte di Nicolae Ceaușescu, tutto ciò che era, anche lontanamente, legato al comunismo veniva, giustamente, rifiutato. L’affacciarsi sulla scena politico-culturale romena di una generazione che ha un legame sempre più tenue con il ricordo del vecchio regime, ha creato le condizioni, non sussistenti in passato, per reintrodurre in Romania la figura e il pensiero di Antonio Gramsci.
Poi ci sono state circostanze favorevoli: la spinta e l’incoraggiamento da parte del dottor Buono; il sostegno economico che il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari ci ha assicurato in un primo momento; la disponibilità del professor Sabin Drăgulin a farsi carico dell’improbo lavoro di traduzione; l’interesse che la dottoressa Adriana Nazarciuc, amministratrice della casa editrice Adenium di Iași ha mostrato verso l’iniziativa inaugurando la collana Studi Gramsciani.

Vi è stata, quindi, una stretta collaborazione tra gruppi di ricerca italiani e romeni.


Certamente, vi è stata un’intensa collaborazione tra studiosi italiani e romeni. D’altro canto senza questa cooperazione l’impresa non si sarebbe mai realizzata. La traduzione dei Quaderni di Gramsci è stato un atto di volontà e di caparbietà di alcuni studiosi. Va ricordato, tuttavia, che nella collana Studi gramsciani, non sono in corso di pubblicazione solo i Quaderni, ma sono state anche pubblicate un’antologia di scritti precarcerari, curata dal prof. Guido Liguori, e la sua monografia su Gramsci e il Risorgimento. Il lavoro comune si è sostanziato in incontri e seminari in cui sono stati affrontati aspetti metodologici (riguardanti soprattutto problemi concernenti la traduzione dall’italiano al romeno), filologici (il testo gramsciano presenta numerose difficoltà per un lettore non italiano), approfondimenti del pensiero di Gramsci, analisi della situazione culturale e socio-politica romena cioè del contesto all’interno del quale la traduzione dei Quaderni s’inserisce. La collaborazione che si è sviluppata sul lavoro di traduzione dei Quaderni ha prodotto ulteriori iniziative culturali ed editoriali tra studiosi romeni ed italiani.

Come ha percepito l’eco della pubblicazione dei Quaderni in Romania?

Non ho dati sulla diffusione o sul numero di copie vendute. Posso, tuttavia, segnalare che quando abbiamo presentato i singoli volumi appena pubblicati abbiamo sempre riscontrato un ampio numero di spettatori: intellettuali, politici, giornalisti, docenti universitari e, soprattutto, molti giovani. Quest’ultimo aspetto mi ha sempre colpito. Nonostante Gramsci sia un autore che si sta appena riscoprendo in Romania e la sua opera non sia di facile lettura, l’interesse suscitato è stato molto alto proprio tra i giovani. È il segnale del desiderio delle nuove generazioni e delle nuove leve di studiosi romeni di aprirsi, dopo un lungo periodo di chiusura, alle correnti culturali più ricche del Novecento europeo, senza pregiudizi ideologici. In una fase storica come quella che stiamo vivendo, carica di un esasperato e spesso davvero inutile, nazionalismo, è un segno di speranza. La pubblicazione dei Quaderni ha suscitato una vasta eco anche su giornali e riviste. Numerose sono state, infatti, le recensioni e le segnalazioni. Anche questo è indice dell’effervescenza culturale che la Romania sta attraversando.

Perché rileggere ancora Gramsci?

Innanzitutto perché Gramsci deve essere considerato oramai un classico e un classico non smette mai di porre interrogativi, di suscitare dubbi, di aprire percorsi inediti. Un classico ha in sé un «tempo storico» (utilizzo una categoria blochiana) estremamente dilatato, che trascende il contesto temporale in cui l’opera è stata concepita. Questo, tuttavia, non significa affatto metastoricità del classico. Tutt’altro. È la capacità di cogliere la scansione interna di processi storici determinati e proiettarla in strumenti ermeneutici la cui portata è enormemente ampliata e potenziata.
L’analisi gramsciana ce ne offre svariati esempi. Categorie come quella di egemonia, rivoluzione passiva, americanismo, per citare solo quelle che hanno avuto una maggiore diffusione, sono state applicate a contesti storici e a periodi storici anche molto differenti rispetto a quelli in cui Gramsci visse e scrisse. Ciononostante esse sono state utilmente applicate e i risultati che hanno permesso di conseguire sono stati notevoli: pensiamo, ad esempio, ai Cultural studies.
Un altro aspetto che ci spinge a leggere e soprattutto rileggere i Quaderni di Gramsci è l’estrema libertà e direi persino spietatezza con cui il dirigente comunista analizza e critica anche la propria tradizione culturale. Le sue critiche alla degenerazione del materialismo in atto in Unione Sovietica, al determinismo meccanicista che aveva conquistato anche i comunisti europei, all’attendismo che caratterizzava la tattica dei partiti della classe operaia occidentali sono tutti elementi che sottolineano la distanza e la portata innovativa del pensiero gramsciano rispetto alle coeve tendenze del marxismo.
Un ulteriore aspetto che ci spinge a leggere Gramsci è, senza alcun dubbio, anche la bellezza della sua scrittura e la raffinatezza delle sue analisi. Non dobbiamo dimenticare che i Quaderni sono degli appunti scritti da Gramsci in carcere, in una condizione di precarietà psicofisica e di mancanza di strumenti (era consentito a Gramsci di avere in cella solo alcuni libri). Tuttavia, i Quaderni rappresentano, come scrisse Gerardo Chiaromonte alcuni decenni orsono, «un immenso arsenale di intuizioni politiche e culturali». Le analisi su americanismo e fordismo o quelle sul rapporto tra semplici e intellettuali all’interno della Chiesa cattolica restano, ancora oggi, un modello insuperato capace di coniugare fenomeni distinti, alcuni anzi apparentemente marginali, all’interno di una ricostruzione unitaria di grande respiro e fascino.

Cosa potrebbe interessare a un giovane lettore romeno che si accosta al testo gramsciano?

C’è una questione fondamentale che caratterizza in misura pregnante il pensiero gramsciano e che mi piacerebbe sottoporre all’attenzione dei giovani lettori. Il rapporto tra politica e cultura. Il nesso tra questi due aspetti è in Gramsci costitutivo della sua stessa breve ma intensa esperienza di vita. Gramsci è un dirigente politico, questo aspetto è sempre presente all’interno della sua riflessione teorica. Quest’ultima ha sempre, come proprio orizzonte, la dimensione politica. Gramsci sa che ogni vera, alta politica non può non essere intessuta con i fili della migliore cultura del tempo. Allo stesso modo ogni espressione culturale che non si disponga politicamente (ciò non significa assolutamente mettere la cultura a servizio di quella che Gramsci chiama la «piccola politica», ossia la politica fatta d’intrighi, della gestione quotidiana del potere), che non si ponga, in altre parole, il problema della trasformazione in senso progressivo della società, è destinata a insterilirsi.
In una fase in cui la politica (sempre più ridotta a pura amministrazione) e la cultura (sempre più ridotta a specialismo e, pertanto, sottoposta ad un rapido processo di tecnicizzazione), tendono a separarsi, con il risultato che la prima diventa impotente e la seconda arida, la lezione gramsciana mi pare il lascito più prezioso che il pensatore sardo abbia tramesso alle generazioni future.

A suo modo di vedere, oggi è diminuita o aumentata la curiosità di conoscersi tra romeni e italiani?  

Ho potuto constatare come in Romania vi sia una grande voglia di conoscenza di ciò che accade al di fuori di essa e, particolarmente, di ciò che accade in Italia. Al contrario nel nostro paese troppo poco si conosce del maggior paese balcanico, discorso analogo si può fare nei confronti di tutti i paesi dell’est Europa. È una grave mancanza che soprattutto noi pugliesi, che abbiamo sempre lo sguardo rivolto nostalgicamente verso oriente, non possiamo permetterci.







A cura di Ioana Cristea Drăgulin
(n. 1, gennaio 2021, anno XI)