Anna Trapani, fondatrice di «Spazio donna», uno dei primi collettivi femministi napoletani

Nell’ambito della nostra Inchiesta esclusiva Donna Artista che ha finora raccolto 64 interviste, vi proponiamo in questo numero un incontro con Anna Trapani, nota pittrice, scultrice e performer napoletana. Diplomata al liceo artistico, ha frequentato l'Accademia delle Belle Arti di Napoli, laureandosi poi in 'Discipline delle arti' presso il DAMS di Bologna. La sua lunga attività artistica è scandita e influenzata dai movimenti femministi che vivono e si sviluppano nella città partenopea. Ha fondato insieme ad altre intellettuali napoletane, tra cui la scrittrice Fabrizia Ramondino, 'Spazio donna', uno dei primi collettivi femministi napoletani. Artista eclettica e irriverente nei confronti della cultura maschile, Anna Trapani ha partecipato a esposizioni internazionali e a progetti artistici collettivi. Tra questi ultimi, è d'obbligo ricordare il suo intervento alla Biennale di Venezia nel 1978 insieme ad altre artiste del contesto partenopeo, la partecipazione all'International Festival of Women Artists di Copenhagen nel 1980, la cui rilevanza politica prelude alla sua presa di parola attiva, in esposizioni recenti a Napoli, contro le atrocità delle guerre maschili. La varietà delle tecniche artistiche e dei supporti utilizzati (dalla tela alla ceramica), insieme alla molteplicità delle ispirazioni, derivanti anche dalle scienze esatte e dall'astronomia, rende la prolifica produzione di Trapani estremamente interessante.


Lei ha fondato, assieme ad altre intellettuali napoletane, Spazio donna, uno dei primi collettivi femministi napoletani. Quanto la sua vasta attività artistica è stata ed è scandita e influenzata dai movimenti femministi?

Ovviamente moltissimo; sono stata appunto una delle fondatrici del movimento femminista napoletano e dunque la mia visione e produzione artistica non poteva che evolversi di pari passo con l’esperienza politica vissuta nei movimenti femministi.


Le donne sono state costantemente presenti da quando esiste l’arte stessa; tuttavia, sino al XVI secolo, il loro tributo documentato rimane scarsamente visibile. Quali sono, a suo avviso, le ragioni per le quali è stato così arduo sottrarsi all’invisibilità e come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

L’arte pittorica nei secoli precedenti era considerata un mestiere e dunque le opere, specialmente quelle sacre e nobiliari, erano appaltate a pittori di fama dell’epoca. Ora se sappiamo che storicamente le donne non avevano diritto allo studio, né tantomeno alle botteghe artigiane, come avrebbero mai potuto essere considerate artiste? Oggi in buona parte del mondo sembra che le cose siano cambiate, ma non per tutte le donne. In Afghanistan di nuovo si vieta loro il diritto allo studio, perché?


Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

Se da parte dell’artista c’è la volontà di riconoscersi nel femminile, ciò apparirà palese anche all’osservatore che potrà esso stesso ritrovare il fil rouge mostrato. Certo, non è dalla pennellata che si riconosce la mano di una donna o di un uomo. Io, per denotare la mia volontà di rappresentare il femminile, connoto le mie opere dipingendo su tele ricamate dalle mani di altre donne, mettendo in evidenza una genealogia al femminile.


Corpi indocili, 1992

Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Purtroppo sì. La difficoltà più grande nelle rivendicazioni femministe non è stata quella di raggiungere la parità dei diritti, è stata invece quella del riconoscimento della differenza di genere; in una rivista scientifica ho letto un giorno un’affermazione che mi ha ricordato Magritte: «Chi può dire cosa si prova a essere un pipistrello? Un pipistrello». Allo stesso modo, chi può dire cosa si prova a essere una donna? Una donna.


Lei trae ispirazione altresì dalle scienze esatte e dall’astronomia. Quale valore aggiunge alla produzione artistica la contaminazione di generi e forme, pensando anche alle varietà delle tecniche artistiche e dei supporti utilizzati?

Nel gioco di decontestualizzazione del significante ho scoperto che l’esatta coincidenza tra la «piega di Bernhard Reimann», matematico e fisico tedesco, e la «piega combaciata» come tecnica sartoriale, hanno per me rappresentato infine «l’intima femminilità» come forma fisica oggettiva. Questo è uno dei salti immaginativi della mia produzione artistica arricchita dalle altre discipline. 


Lei ha asserito: «Le donne avvertono più o meno coscientemente di non possedere Sovranità nella loro vita, e abituate a coincidere con lo stereotipo che l'ordine sociale ha loro imposto di essere, avvertono il bisogno di spendere le loro energie in attività diverse dalla cura e responsabilità per gli altri, pertanto l'attività artistica appare come il luogo privilegiato per la espressione delle pulsioni profonde». Ciò è sempre reale e sempre fattibile?

Non sempre; le arti sono luogo privilegiato per l’espressione dei sentimenti, ma far ciò bisogna possedere gli strumenti adatti alla decodifica e alla realizzazione. L’arte è una pratica intenzionale diversa dalla bellezza che tutti possono cogliere, ad esempio nella natura, addirittura in arte esiste una «estetica del brutto» vedi Rosenkranz e Adorno.


Corpi indocili, 1997


La
sua pittura è fatta anche di corpi femminei, contrapposti oppure plurimi, che si raffrontano, si contrastano, si avvinghiano, si allacciano d’inquietudine e di sconforto, si fluidificano in linee di pigmento, di spirale esistenziale. Le donne poste assieme nella sofferenza, congiuntamente nell’abbraccio, nello strazio e nell’amore. La sua interpretazione può essere reputata la pittura di una donna sulle donne?

Bella e interessante questa lettura delle mie opere, ma io preferirei fare riferimento a una «riflessione» più che a un «sopra», per dirla con le parole di Luce Irigaray, Speculum. L’altra donna.


L'arte oltre ad avere una specifica finalità estetica, ne assolve a parecchie altre manifestanti l’assetto sociale nonché la sua articolazione. Qual è la sua opinione circa la pretesa dell'arte come linguaggio universale?

In linea generale concordo con il concetto di universalità (anche se, date le nuove scoperte scientifiche, oggi dovremmo parlare di multiversi), ma come ho già detto prima, l’intenzione di percepirla come arte è fondamentale. Credo comunque che tra le arti la musica sia quella più vicina al concetto di linguaggio universale, forse perché mancante della mediazione concreta dei segni e delle parole.


Achille Bonito Oliva ha asserito: «È importante che un giovane artista faccia un lavoro capace di passare sotto l'osservazione di un critico di qualità, che lo segnali a un gallerista di qualità, che lo faccia conoscere a collezionisti di qualità, e che richiami un pubblico di qualità per musei di qualità. Esistono come dei gironi nel sistema dell'arte che creano una identità sociale del prodotto artistico, che possono aiutare l'artista a vivere al riparo da infortuni sociali, da sfortune economiche, e ammetterlo quindi nelle condizioni giuste per esprimersi liberamente». L’artista è diventato uno fra gli elementi di un algoritmo?

Nel 1979 ho realizzato una mostra/installazione presso la galleria San Carlo di Napoli consistente nel rivestire le intere pareti della galleria con una carta da parati da me realizzata in 6 sezioni modulari; tra le varie immagini una delle frasi ricorrenti era: «Li vogliamo buttare i critici d’arte?». Per concludere alla maniera di Peppino De Filippo… «e ho detto tutto».


Dispiegata, 2000


La bambola di pezza, 1997


Corpi, 1993


Spiando, 2003



A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 12, dicembre 2021, anno XI)