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    Antonio Limoncelli: «Il femminile concretizza la cultura, la rende servizio,  condizione sociale»
         
         
     
        Continua la nostra inchiesta, a cura  di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, nel   campo della critica  letteraria, con diversi argomenti di attualità e   un'ampia indagine sulla  ricezione della letteratura romena in Italia,   un tema di particolare interesse per  noi.  
Ospite dei nostri Incontri critici è Antonio Limoncelli, nato a Capo d’Orlando nel 1956, biologo e  giornalista, istigatore d’introspezioni, poeta, artista. Scrive dal 1970 e  dipinge dal 1975. Dal 1994 la sua ricerca vuole essere collettiva, fonda e  coordina la rivista culturale «Crisalide» (1994-2000), voce di un gruppo di  artisti e scrittori del territorio, e l’anno successivo «Bruco» (1995-2000), un  giornalino scolastico che permetterà ai ragazzi dei Nebrodi di esprimere idee  ed emozioni. Fonda e dirige: «Flussi Potenziali» (1999-2020), rivista  sperimentale d’entropia, e «Nova Sicilia» (2007-2014). Nel 2001 fonda e dirige  la rivista d’arte e scienza «Nova». Del 2022 è  Duedime. Infanzia  (Il Rabdomante). Di prossima pubblicazione Duedime. Adolescenza. 
 
         
Le sue  riviste, «Nova» e «Flussi potenziali», sembrano compiere un’opera di generosa e  disinteressata esplorazione di mondi. In nome di quale valore o principio  lascia esprimere innumerevoli e varie voci? 
 
Una rivista è multipolare, qualche volta  schizofrenica, deve comprendere voci diverse per comunicare il sentire umano  più complesso e completo, deve ospitare scrittori capaci d’essere unica voce,  due voci, più voci. L’ennesimo delirio moltiplicato per infinito è infiniti  deliri programmati dalla visionarietà che io cerco di trovare dall’unica voce,  dalle due voci, da più voci perché voglio una rivista multidisciplinare,  polimorfa, polifonica. Voglio dire che non esiste un principio nella generosità  che non sia quello di essere disposti a capire che se non lo fai tu, o chi come  te crede nella libera espressione, chi sarebbe disposto a usare il proprio  tempo per dare spazio agli altri? E se il tempo è denaro siamo rimasti in pochi  a fare riviste cartacee di questo genere. Il valore è nell’affermare che  chiunque ha diritto d’essere qualcuno e non il nessuno che la carta stampata  esprime, in genere, escludendo chi non è in linea con il pensiero dominante.  Ribadisco, ognuno ha il diritto di dire quello che pensa  senza essere giudicato perché la verità non appartiene a nessuno. Ecco, le mie  riviste sono uno spazio libero, «Nova», rivista d’arte e scienza, è un’opportunità  per tutti coloro che vogliono esprimersi liberamente, dall’astrofisica alla  filosofia, dalla letteratura alla biologia, dalla poesia alla prosa, dalla  fotografia alla pittura. «Flussi Potenziali» addirittura esagera, vuole  sperimentare l’abisso, l’ossessione, la follia, vuole trasgredire le regole che  l’editoria usa per vendere. E per dire basta all’ipocrisia, alla falsa  moralità, ha spinto il linguaggio erotico oltre la metafora. Mi compensa la  gioia di vedere queste innumerevoli voci in un coro, ognuna al seguito del  proprio spartito, cantare lo stesso motivo. 
 
 
Quanto  intende disturbare la falsa coscienza di tutti noi proponendo, soventemente,  narrazioni così poco rassicuranti e confortevoli? 
 
È dalla coscienza inconsapevole e, qualche volta,  addirittura dall’inconscio che si manifesta il mio esserci, l’io sempre più  testimone disgustato dell’assurdo privilegio che godono gli ipocriti, quelli  che mediano violenza e menzogna per raggiungere i propri obiettivi e quelli di  chi li pagano. La narrazione dell’esistenza, quella che si vive in questo  momento storico, è purtroppo poco rassicurante e confortevole, guardo panorami  sempre meno visionari, altitudini abissali, pozzi in cui gettano occhi limpidi  e mani che si cercano. Devo essere realista, il sogno è stato assassinato,  l’insonnia è il tempo notturno in cui ci dibattiamo in cerca della verità.  Vorrei raccontare la mia fiducia, proporre la mia visione dell’universo, la  globalità d’intenti in un realismo diversificato ma, mi chiedo, chi  ascolterebbe l’idea senza l’inganno ideologico, chi crederebbe a un futuro creativo?  Voglio dislocare i siti concettuali propri del perbenismo borghese nei luoghi  in cui l’umano si trasforma in macchina da guerra, dove si sperimentano le  atomiche, i forni crematori, gli eccidi, i disagi sociali, la fame.  Raccontare il cinismo delle società  neoliberiste, moralmente indispensabile per chi informa, diventa sempre meno  possibile, anzi, in questi giorni di ‘guerra in Europa’, impossibile. Il vero  nemico dell’uomo è l’uomo, la specie si estinguerà. 
 
 
Oggi, in  tantissimi scrivono romanzi, tuttavia ben pochi posseggono la contezza dei suoi  sviluppi, delle sue ragioni, altresì storiche e, specialmente, della sua  necessità. Lo «scrivere» è davvero necessario? 
 
Troppi scrittori di romanzi, troppe storie inutili.  L’arte dovrebbe essere funzionale alla storia del pensiero; dipinto,  crittogramma e segno dovrebbero essere sinergici allo sviluppo dell’individuo e  delle società. Simbolismo e gestualità incartate, incarnato cellulosico, foglio  cellulare incastrato nei mobili aviti, genetica funzionale alla genealogia,  l’albero su cui mi sono arrampicato è quello che ha rami per ogni generazione;  non escluderei nessuno dalla mia stirpe. Si dovrebbe assecondare il flusso di  pensieri che proviene da ogni popolo senza alcuna divisione ideologica e per questo  ribadisco, in ogni mio libro, che il popolo è unico, noi siamo l’umanità. Da  ogni scritto deve trapelare quest’esigenza, le frasi devono seguire l’impeto di  chi vuole che non ci siano disuguaglianze. Scrivere è necessario per capire chi  siamo, per scoprire che l’esigenza d’esserci è identica a quella di ogni altro  essere sulla Terra. Scrivere è necessario per un confronto meno labile, per  documentare la nostra funzione di testimoni, per mostrare, in maniera indubbia,  le nostre scelte. Scrivere è necessario per ancorare la nostra mente e le  nostre emozioni alla storia di ogni essere vivente. 
 
 
La  scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere  quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della  letteratura esperìta da donne? 
 
Non ho mai fatto distinzione tra letteratura al  femminile e al maschile, ho sempre pensato alla persona che scrive, per me  l’autore non ha sesso. La distinzione di genere nella cultura è un’ulteriore  prova di discriminazione che io non riesco ad accettare. Detto questo,  considero le donne, vere pioniere e grandi innovatrici perché hanno prodotto  una letteratura meno visionaria e trovato il giusto equilibrio tra testo ed  extratesto. Il femminile concretizza la cultura, la rende servizio, emozione,  condizione sociale meglio di quanto riesce a fare l’uomo che resta per natura  legato all’astrazione. 
 
 
Francesco  De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi  organica dell’anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia  uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera  in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel  frangente storico che stiamo vivendo? 
 
Il presupposto è strettamente connesso  all’organizzazione di una società che si costruisce sul pensiero, un organismo  funzionale al bisogno che ha un popolo di evolversi. La sintesi tra possibilità  di comunicare e necessità di informare sconvolge i sistemi di controllo ma non  basta per cambiare il tempo della storia, i fatti narrati accelerano o  rallentano seguendo il ritmo delle trasmissioni culturali ammessi all’agorà  virtuale, la voce dello speaker elabora per lavoro slogan, pubblicizza la  menzogna. Volevo dire che non esiste più, nel frangente storico che stiamo  vivendo, una correlazione tra letteratura e fare, tra strumento e funzione. Gli  autori che potrebbero avere un ruolo significativo non interessano più nessuno.  Il lettore, sempre più raro, vuole solo intrattenersi e l’editoria, per  sopravvivere, deve pubblicare chi paga. Se la letteratura fosse lo specchio  della società in cui si sviluppa perderemmo l’universalità delle lettere. Noi  stiamo vivendo l’assurdo di una guerra perché non esiste più il confronto, non  riusciamo più a parlare perché ci mancano le parole di valore. Cosa si può  scrivere a chi preferisce sparare anziché leggere? 
 
 
La  contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni oralità/scrittura e  poesia/prosa, ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo,  tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo della critica è  condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del  digitale? 
 
Io continuo a pubblicare su carta, il digitale è una  comodità per archiviare libri, informazioni, immagini da consultare. L’odore  della carta lo sento anche come ricordo e mi lega ad alcuni libri che ho letto  in maniera speciale. L’asetticità del virtuale, l’impermanenza/permanente non  permette l’interazione fisica tra oggetto e mente e il sapere svanisce quando  spegni il congegno. Voglio dire che premi ON e tutto torna a tua disposizione e  la condivisione che trasforma i dati in fatti diventa sempre meno diffusa. È  come passare dalla conoscenza pratica che si esplica in ogni nostra azione alla  conoscenza del sistema necessario per sapere come agire in quella determinata  situazione. L’immediatezza che lo strumento esterno alla dotazione umana  consente è una comodità secondaria che determina una evoluzione costante degli utensili  e una regressione conseguente dell’intelligenza. La comodità primaria è nella  salute mentale e l’incombenza disumana degli acceleratori di neuroni  distruggeranno la memoria, la renderanno inutile e i nostri riferimenti si  perderanno, diverranno impedimenti di quella risposta immediata che si cerca  costantemente. E sai perché? Perché il tempo è denaro non contemplazione del  divenire o gioia di vivere. Il digitale è un ottimo archivio per l’umanità ma  l’individuo deve usare i ricordi, i sentimenti, la conoscenza più utile al  confronto. Dovremmo continuare a scrivere con la penna, leggere pagine di  carta, perché sentire il frusciare della stilografica su un foglio bianco che  vomita nuove idee o sentire il pensiero di un autore dal manoscritto trovato nella  libreria è, per chi l’ha vissuto, qualcosa di irrinunciabile. Se vuoi una  risposta critica anche sull’uso del digitale nel giornalismo sono pronto. Vuoi?  Il giornalismo contemporaneo, che è sempre più distante dagli accadimenti, e  costretto a raccontare quello che altri hanno deciso. Quando l’intelligenza non  ha più voce lo strumento colma le differenze e dà potere all’ignoranza e alla  menzogna.  
 
 
Sono  passati più di trent’anni dalla pubblicazione dei primi libri della cosiddetta  letteratura della migrazione. Pensa che ci sia sufficiente attenzione su di  essa? Ritiene inoltre che abbia avuto qualche influenza nella produzione  letteraria degli autoctoni? 
 
La letteratura della migrazione internazionale è  molto più vecchia, immagino si riferisca a quella scritta in lingua italiana  che ha circa trent’anni. Considerando che in Italia si legge poco e che esiste  un razzismo strisciante estremamente diffuso, credo che l’interesse verso  questo tipo di letteratura sia ancora di nicchia. Ho notato però che l’attenzione  aumenta quando le storie di migranti vengono raccontate al cinema o in  televisione. Le esperienze forti influenzano sempre la produzione letteraria  autoctona. 
 
 
La  letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è  costantemente tradotta in lingua italiana e la rivista «Orizzonti culturali  italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in  italiano: 1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i  non addetti ai lavori? 
 
Conosco la letteratura romena, in particolare la  poesia e la saggistica. Sapevo della rivista ma non avevo letto che poche cose.  La sua intervista mi porterà certamente a intensificare le mie letture e  amplierà i miei «Orizzonti culturali italo-romeni». Non so quanto possa essere  conosciuta in Italia, ma ho la netta sensazione che i lettori della rivista  siano parecchi.   
   
 
Ana  Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea  Eliade, sono autori che, trascendendo il tempo e lo spazio, hanno narrato la  burrascosa storia della Romania. Ebbene, le sono noti e ci sono scrittori  romeni che  hanno attirato la sua  attenzione? 
 
Ana Blandiana mi è nota per la sua coraggiosa attività  e Herta Müller per il Nobel, Mircea Cărtărescu lo conosco bene, Mircea Eliade  benissimo, ma Emil Cioran è quello che più di tutti ha attirato la mia  attenzione.       
       
         
       
      A cura di    Afrodita Cionchin e Giusy Capone 
          (n. 6,  giugno 2022, anno XII) 
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