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    Davide Orecchio: «La migliore letteratura sociale aiuta a ‘decontaminare’ da falsi miti e ignoranza» 
       
     
       Nella  sezione Scrittori per lo Strega della  nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone,  vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori   candidati al Premio e quelli segnalati all’edizione n. 76, e con i  loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad  altri argomenti di attualità. 
        Davide Orecchio, nato a Roma nel 1969, è uno dei 12 candidati al Premio Strega 2022 con il romanzo Storia aperta (Bompiani, 2021). Martina Testa lo presenta così: «Storia aperta di Davide Orecchio è un romanzo originale e   potente. Racconta la storia di un uomo del Novecento, Pietro Migliorisi,   scrittore e giornalista, che dopo la giovanile militanza nel fascismo   ha un’autentica conversione alla causa comunista, fede che lo   accompagnerà per il resto della sua vita. Intorno a questa parabola   politica si disegna quella umana, intima del personaggio, con i suoi   affetti, le sue ossessioni, le sue paure, mentre sullo sfondo – o a   volte in primo piano – scorre quasi un secolo di storia italiana. A tenere insieme il tutto c’è una scrittura di grandissima sapienza». 
         
         
        Pietro Migliorisi, protagonista di Storia aperta ed eteronimo di tanti uomini e donne della sua  generazione. «Noi siamo ignoranti. Noi siamo, in miliardi di pixel, gli  eredi». Chi è il «bambino diacronico»? 
         
        È un figlio del Novecento. Nasce nel 1915. Muore  nel 2001. Ed è un figlio della Storia, perché ha il destino di abitare un tempo  iperstorico, ultrastorico. Educato nel fascismo, diventa presto un giovane  intellettuale fascista «di sinistra» – formula alquanto ambigua, lo ammetto –,  diciamo un frondista. Combatte le guerre del fascismo. La prima, da volontario,  in Africa (1935-1936). Poi, per obbligo, in Grecia e Sicilia, durante la  Seconda guerra mondiale. Diventa progressivamente afascista, antifascista,  comunista, man mano che scopre il vero obiettivo del regime fascista: fare di  lui un assassino oppure un morto. La sua ultima battaglia è quella giusta, da  partigiano, nella Resistenza romana (1943-1944). In quei nove mesi si rimette  al mondo e ottiene una seconda vita (da qui, non a caso, si avvia la seconda  parte del romanzo). Pietro è un bambino diacronico in quanto figlio del tempo  storico, ma anche per una sua attitudine istintiva, impulsiva, temeraria,  spesso sprovveduta e infantile. 
         
         
        Lei racconta l’ascesa del fascismo, l’articolarsi del  comunismo, i seguenti declini e il mutamento diiambedue le ideologie. Ciò, evidentemente, ha richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposto di adottare  per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa? 
           
        Il metodo di studio per i lavori preparatori al  romanzo è quello che avrebbe adottato un qualsiasi studioso o studente di  storia. Costruzione di una bibliografia, esame della letteratura secondaria e  primaria, della memorialistica, delle fonti di archivio prescelte. Il metodo  della scrittura è il compimento di un metodo che adotto da diversi anni, nel  quale cerco di far parlare con un tono narrativo le fonti, le mescolo alla voce  narrante, utilizzo citazioni, ricorro anche alla tecnica del pastiche. Il risultato  è un romanzo non storico nel senso tradizionale, ma che racconta una storia,  una vita, sperimentando un dialogo con le proprie fonti. 
         
         
        Storia  aperta effigia l’incontro tra generazioni differenti e  rappresenta la trasmissione di un lascito novecentesco per ora aperto. La lotta politica, l’adesione a una causa: i nostri tempi possono ospitare, a  suo avviso, siffatti propositi di cambiamento sociale attraverso il canale  della Letteratura? 
         
        Dubito che la letteratura possa essere uno  strumento della lotta politica. Almeno la buona letteratura. Non lo è nemmeno  nella storia che racconto nel libro. Il protagonista vorrebbe essere uno  scrittore comunista. Scrittore in quanto comunista, e comunista in quanto  scrittore. E fallisce. Ma certo gli intellettuali, le scrittrici, gli scrittori  continuano ad avere un ruolo persino nei nostri tempi, e lo possono usare per  le cause nelle quali credono. E la migliore letteratura sociale può aiutare a  «decontaminare» da falsi miti e ignoranza, a creare consapevolezza. Basti  pensare all’opera omnia di George Orwell, un classico. O, in tempi più recenti,  a Una paga da fame di Barbara  Ehrenreich e alle pagine di Anna Politkovskaja sulla Russia di Putin. 
         
         
        Un padre comunista e intellettuale, fedelissimo ai dettami  del partito: perché ha ritenuto di dover indagare i dubbi dei padri, le loro  motivazioni e i loro smottamenti? 
         
        Perché volevo conoscere la storia di mio padre,  che ispira il personaggio di Pietro Migliorisi, e che avrebbe potuto essere mio  nonno. Non sapevo molto della sua biografia e, dopo la sua morte, mi sono  rimboccato le maniche per studiare. Prima del romanzo, molto prima, c’è stato  un semplice desiderio di conoscenza. Inoltre avevo scoperto, o meglio chiarito,  che mio padre non era stato solo comunista, ma anche fascista da giovane;  volevo riannodare le sue due vite, e magari capire anche qualcosa della storia  di questo Paese. 
         
         
        Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una  nazione costituisce una «sintesi organica  dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno  specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in  opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel  frangente storico che stiamo vivendo? 
         
        Credo che scrittrici e scrittori, nei tempi di  guerra e malattia che stiamo attraversando, dovrebbero porsi il compito di  ripulire le parole dalla propaganda, di trovare le parole giuste per esprimere  posizioni condivise e sentimenti che noi tutti proviamo. Le parole sono  infangate da incantesimi e camuffamenti. La letteratura le può e deve nettare. 
         
         
        Hegel sviluppa una definizione del romanzo: esso è la moderna epopea borghese. Lukács  afferma che questo genere, essendo il prodotto della borghesia, è destinato a  decadere con la morte della borghesia stessa. Bachtin asserisce che il romanzo  sia un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi. Oggi, si  notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede di un genere che  continua a sfuggire a ogni codice? 
         
        Io tifo per Bachtin. Decisamente. Il romanzo è  un genere ravvivato proprio dai tentativi di trasformarlo e ibridarlo. Può  accogliere qualsiasi progetto narrativo. Le tendenze più felici, dal mio punto  di vista – che riguarda le mie frequentazioni di lettore, le mie passioni –  sgorgano da quella letteratura di vite, di storie, di memorie ibridate in fonti  e testimonianze, in saggio e invenzione, che da W.G. Sebald e Danilo Kiš arriva  ai contemporanei David Peace, Mattias Enard, Helena Janeczek, Svetlana  Aleksievič, per citare solo alcuni nomi. 
         
         
        La scrittura contemporanea può annoverare letterate  illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione.  Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne? 
         
        Leggiamo sempre più scrittrici autorevoli, importanti  e di successo. Certamente di più rispetto a dieci, venti, trenta o quarant’anni  fa. Quindi, ottimo. Questa domanda sullo status dovremmo però rivolgerla a  loro, alle scrittrici, non a me, che sono pur sempre un maschio con meno occhio  e sensibilità rispetto alle permanenze del patriarcato. Se posso suggerire un  punto di partenza per rendersi conto della situazione attuale: Daniela Brogi, Lo  spazio delle donne, Einaudi 2022. 
         
         
        La letteratura romena si fregia di una robusta altresì  varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di  punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil  Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le  pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021.  Quali scrittori romeni hanno attirato  la sua attenzione?
      
 Ha citato autori, classici e  contemporanei, di profonda raffinatezza e non conosciuti, purtroppo, dal vasto  pubblico italiano. Ma forse nemmeno «purtroppo». Direi «per forza di cose». Chi  attira la mia attenzione? Sarò scontato nella risposta, ma i libri di  Cărtărescu me li procuro sempre. 
         
         
       
        
           
         
 
           
           
          A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone 
          (n. 5,  maggio 2022, anno XII)        | 
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