Con Emanuela Termine, uno sguardo sull’arte di Carlo Maria Mariani

Nell’ambito dell’inchiesta Donna Artista curata da Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo in questo numero il dialogo con Emanuela Termine (Roma, 1978), storica dell’arte, critica e curatrice. Nel 2010 ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dell’arte presso l’università Sapienza di Roma, con la tesi L’habitat e la città. Il dibattito fra arte e architettura tra gli anni Cinquanta e Settanta in Italia. È stata responsabile della segreteria organizzativa della Fondazione Bruno Zevi (2005-2014) e curatrice senior presso Sala 1 Centro Internazionale d’Arte Contemporanea (2006-2015). Nel 2014 ha collaborato con ISCP - International Studio & Curatorial Program a New York per la mostra Alice Schivardi, Wormholes ed è stata corrispondente da Los Angeles per «Artribune Magazine», rivista per la quale tuttora firma articoli e recensioni. Nel 2012 ha curato il progetto Lingua Mamma, vincitore del concorso «Arte, Patrimonio e Diritti Umani», indetto da Connecting Cultures con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Attualmente insegna Storia dell’arte presso il Liceo artistico Aldo Passoni di Torino e svolge attività di ricerca e critica indipendente.


La rivista «Artribune» ha incluso il Catalogo generale delle opere di Carlo Maria Mariani, un poderoso e puntuale lavoro di 480 pagine con 686 illustrazioni, tra i migliori libri d'arte del 2021. Ebbene, da quali specificità è caratterizzata la «cura» di un catalogo d’arte contemporanea?

In questo caso si tratta di un catalogo generale dei dipinti di Mariani, quindi di una raccolta completa di riproduzioni fotografiche di tali opere, a cui si arriva dopo un lungo lavoro di ricerca d'archivio, indagine nelle collezioni private e pubbliche e creazione di un inventario dove a ogni opera è assegnato un codice, che comprende un numero identificativo e la data di realizzazione. Il catalogo è inoltre accompagnato da apparati quali la biografia dell'artista con antologia di testi critici selezionati e ordinati cronologicamente, bibliografia, elenco delle mostre ed elenco delle collezioni che possiedono opere dell'artista. È dunque un lavoro di ricerca scientifica, condotta con metodo storico e storico-artistico, ma anche critico, perché inevitabilmente l'autore/curatore sceglie una prospettiva attraverso la quale interpretare il percorso di un artista nel contesto culturale in cui si è sviluppato. Ma oltre a questo è fondamentale un ben coordinato lavoro d'equipe, perché le figure coinvolte sono molte. È stato fondamentale il ruolo di Mary Angela Schroth, che insieme a Carol Lane ha ideato questo progetto e coordinato le attività di ricerca a cui ha contribuito lo staff di Sala 1 - Centro per l'arte contemporanea, e di Clayton Calvert, studio manager di Mariani che ha svolto un importante lavoro di intermediazione tra New York e l'Italia.


Nell’Introduzione al Catalogo lei afferma:«Complessa, colta, stratificata, l’opera di Mariani è stata frequentemente ricondotta al discorso postmoderno, anche se il suo riagganciarsi all’arte classica avviene nel segno della continuità, piuttosto che dello scarto, o del prelievo». Cosa Mariani recupera del linguaggio classico, nella fattispecie del neoclassico?

Soprattutto recupera l'utopia di poter «rifare» l'arte classica. La sua non è mera imitazione ma profonda conoscenza e comprensione dei principi, dei metodi, delle tecniche e della teoria estetica classica, che prevede un linguaggio figurativo naturalistico e una ricerca del bello ideale, per riuscire nell'impresa di rifare capolavori perduti o opere ideate ma mai realizzate da artisti del passato, basandosi sullo studio di documenti d'archivio. In effetti Mariani ha sempre dichiarato che il suo interesse per il periodo neoclassico era nato nelle biblioteche e negli archivi, dove si recava a studiare gli scritti di grandi personalità come Winckelmann, Mengs, Kauffmann, Goethe, nei quali amava immedesimarsi per ripercorrerne le tracce, le azioni, lo stile, come farebbe un medium che si trasforma in strumento per riportarli in vita. Nulla di diverso, in fondo, da quanto hanno fatto di volta in volta gli artisti nei vari periodi di rinascita dell'arte classica, attraverso i secoli: in questo senso Mariani è un continuatore di questa lunga e ininterrotta tradizione. Questa sua necessità nasceva alla fine degli anni Settanta, come rifiuto dell’«isteria consumistica» della società di massa post-industriale e come sfida a quelle neoavanguardie che iniziavano a mostrare segni di stanchezza, trasformandosi in maniera. Non è un caso che nello stesso periodo altri importanti artisti sentirono l'esigenza di confrontarsi con il passato, la cultura classica o la tradizione pittorica: Giulio Paolini, Jannis Kounellis, Salvo, Luigi Ontani tra gli altri.


Idea ormai radicata è che l’Arte debba uscire dai cenacoli accademici per essere vissuta nella pratica quotidiana, così da produrre un’eredità concreta e tradursi in un’azione culturale efficace, sposando la filosofia postduchampiana secondo la quale ogni oggetto può diventare Arte. Quanto le opere di Mariani integrano la tradizione a ricerche espressive innovative?

In realtà Mariani si è sempre confrontato con Duchamp e il Dadaismo, ma anche con Picasso, De Chirico e in generale con l'eredità delle avanguardie, che difficilmente un artista del nostro tempo può ignorare. In effetti si è rivolto al linguaggio classico dopo aver sperimentato l'arte astratta, la performance documentata da fotografie, l'iperrealismo e alcune operazioni concettuali basate sulla questione dell'originale e della copia. Ma anche nei suoi dipinti figurativi, Mariani ha citato molto spesso opere di Duchamp, mettendo in scena una sorta di querelle, un confronto critico, spesso ironico tra il linguaggio classico e quello modernista. Lo ha ritratto, nelle sembianze di Rose Sélavy, nel Ritratto di Duchamp del 1990: qui Mariani ha dipinto i baffi sul volto dell'artista francese, ripetendo la stessa operazione da lui compiuta sulla Gioconda di Leonardo. O ancora, in una delle ultime opere realizzate, Mariani si è autoritratto ingabbiato in uno scolabottiglie duchampiano che mostra segni di rottura e consunzione. Maurizio Calvesi sosteneva che la pittura e la teoria neoclassica fossero per Mariani una sorta di ready-made, evidenziando l'aspetto concettuale del suo metodo di lavoro. A me piace ricordare cosa diceva Filiberto Menna sul concetto di «arte moderna»: è moderna quell'arte che riflette su sé stessa, che si interroga sui propri metodi, consapevole della propria natura convenzionale e astratta. In questo Mariani era profondamente moderno, pur dialogando con l'Antico.


Carlo Maria Mariani si era trasferito dal 1993, insieme alla compagna e poi moglie statunitense Carol Lane, nella capitale mondiale del concettualismo d’avanguardia dell'arte concettuale, ovvero New York. Quali tratti assume la «pittura intellettuale»?

Quella di Mariani era già una pittura «intellettuale» prima del suo trasferimento a New York. Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta conobbe un grande riconoscimento internazionale (basti citare l’importante mostra personale itinerante, Utopia now!, che ebbe luogo tra il 1991 e il 1992 al Mathildenhöhe di Darmstadt e al LACMA di Los Angeles) e decise quindi di seguire le numerose opportunità di lavoro che gli si offrivano negli Stati Uniti, migliori rispetto a quelle ricevute in Italia.


Mariani è reputato un punto di riferimento per la corrente Anacronistica e la Pittura Colta, teorizzata da Italo Mussa. Quanto, invece, a suo parere, se ne distacca?

«Anacronismo» e «Pittura colta» sono due categorie critiche formulate all'inizio degli anni Ottanta, tra il 1982 e il 1983, la prima sostenuta da Calvesi e Barilli, la seconda da Mussa, per tentare di analizzare il fenomeno del ritorno alla pittura figurativa da parte di numerosi artisti, che spesso citavano o copiavano capolavori del passato. Tuttavia Mariani non si è mai sentito vicino all'Anacronismo e inoltre era anagraficamente meno giovane dei pittori inclusi in quella tendenza, per i quali riteneva invece di essere stato un «apripista». La sua pittura non vuole essere accademismo, o esercizio formale fine a sé stesso ma, come dicevo prima, è il frutto di un'attitudine concettuale: la scelta di Mariani di rifare l'Antico è un gesto tautologico, una riflessione filosofica attorno al concetto di originale e di copia, quindi di opera e autore. È una provocazione a quei linguaggi, all'epoca dominanti, che rifiutavano l'opera d'arte in quanto oggetto artistico ri-prodotto a mano. Questa sua attitudine mentale, intellettuale, sicuramente si sposa di più con l'idea di una pittura colta, quale fu anche quella degli artisti neoclassici. Lo stesso Italo Mussa nel 1980 definisce Mariani pictor philosophus, appellativo che era stato già di Anton Raphael Mengs. Eppure Mariani affermava di essersi sentito davvero compreso solo da Giulio Carlo Argan, che lo definì un «latinista».


Il cosiddetto ‘sistema’ o ‘mondo’ dell’Arte contemporanea è intrinsecamente legato al mercato dell’Arte; un mercato controllato, in gran parte, da esigui gruppi finanziari. Ciò comporta, spesso, assenza di criteri oggettivi per stimare la qualità artistica delle varie espressioni. Qual è stata la sua esperienza in tal senso?

Forse sono due problemi distinti. Da una parte c’è lo strapotere di un certo mercato dell'arte che specula sulla produzione artistica e ne definisce arbitrariamente il valore; dall'altra la questione è se esistano o meno dei criteri oggettivi per misurare la qualità artistica. A me sembra evidente che i criteri, con cui si stabilisce cosa sia arte e che valore abbia, siano sempre stati relativi, nel corso della storia delle civiltà umane. Ed è giusto così, perché dipendono dal contesto dei fruitori e dai parametri, dal sistema di valori riconosciuti da tale contesto in un determinato momento storico. In questo senso forse è più utile parlare di efficacia di un'opera, rispetto all'obiettivo che l'artista si pone.


Taluni reputano che l'Arte non prescinda dal tempo per interpretare semplicemente lo spirito della Storia universale e che ciononostante essa sia congiunta alla finalità delle mode e a qualsivoglia ambito del gusto. Quali direzioni, mete o deviazioni vede attualmente caratterizzare il panorama artistico italiano e internazionale?

Mi sono formata come storica dell'arte, non condivido l'approccio idealista perché ritengo che l'arte nasca dalla relazione tra l'artista e il mondo, in un contesto socialmente e culturalmente caratterizzato. Questi anni di pandemia ad esempio mi sembra abbiano influito molto sulla produzione artistica, che si sta orientando da una parte verso una tendenza «ecologista» che indaga sul rapporto arte-natura (anche se ho l'impressione che questo approccio stia diventando una moda e che raramente scaturisca da un'attitudine autentica, che invece dovrebbe proporre nuovi paradigmi), dall'altra si sta interrogando sempre di più sulla natura della propria funzione pubblica e relazionale, in un'epoca in cui il distanziamento fisico e l'abuso dei canali di comunicazione telematica rischiano di atrofizzare la nostra capacità di azione e di autodeterminazione. Ci sono poi altre contingenze storiche che stanno guidando la ricerca artistica, come la quarta ondata femminista e l'emergere di una prospettiva non occidentale, i movimenti in difesa dei diritti delle minoranze e i processi di decolonizzazione culturale. A mio parere è in questi ambiti che stanno prendendo forma le espressioni più interessanti e significative del nostro tempo.


Da una prospettiva squisitamente muliebre, quali sono le sue impressioni circa ruolo e funzione dell’artista donna in Italia?

Mi sembra che, rispetto al secolo scorso, non solo in Italia ma in ambito internazionale, il lavoro delle artiste stia conquistando più spazio e più importanza, anche se c'è ancora molto da fare per arrivare a una reale parità tra i generi. Continuano a essere meno rappresentate, a ricevere meno opportunità di lavoro e quotazioni di mercato o retribuzioni più basse rispetto ai colleghi uomini. Per non parlare degli altri ostacoli che si trovano ad affrontare semplicemente in quanto donne in un paese, il nostro, ancorato a una visione maschilista e patriarcale della società e dei rapporti tra i sessi, che non prevede adeguate tutele e supporti alla maternità, all’accudimento di minori e persone fragili, di cui più spesso sono ancora le donne a farsi carico. In questa situazione le artiste possono avere un ruolo e una funzione fondamentali, nell'indicare nuove prospettive più orientate all'inclusione, alla relazione con l'Altro, alla ricerca di pratiche e attitudini più sostenibili per il nostro stare al mondo.






A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 3, marzo 2022, anno XII)