Paolo Landi: «Cărtărescu è un ottimo ambasciatore per la letteratura romena in Italia»

Continua la nostra inchiesta, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, nel campo della critica letteraria, con diversi argomenti di attualità e un'ampia indagine sulla ricezione della letteratura romena in Italia, un tema di particolare interesse per noi.
Nell’ambito dei nostri Incontri critici, ospitiamo qui Paolo Landi, che lavora nel marketing e nella comunicazione da molti anni. Ha pubblicato vari libri sull'uso consapevole dei media (da Lupetti, Sperling & Kupfer, Einaudi, Bompiani, La Scuola) e, recentemente, Instagram al tramonto (La Nave di Teseo, 2020). Collabora come critico di narrativa straniera al magazine online «Doppiozero». Scrive anche sul quotidiano «Il Foglio» e su «Minima & Moralia».
Si è interessato anche alla letteratura romena e, in particolar modo, alla scrittura di Mircea Cărtărescu. La sua ampia recensione al romanzo Solenoide, dal ttitolo Mircea Cărtărescu, evadere dalla realtà, si può leggere su Doppiozero.


Lei esplora con disinvoltura l’ascolto partecipato di chi abbiamo di fronte, la manipolazione dell’attenzione, il linguaggio del corpo, l’organizzazione del contenuto e la creazione della giusta forma con cui trasmetterlo. A tutti noi è possibile imparare a comunicare efficacemente e consapevolmente?

Penso che anche nel comunicare valga la regola che vale per molte altre cose: essere semplici, farsi capire usando una lingua chiara, esprimendo concetti comprensibili. Non è facile, perché la semplicità si raggiunge con la chiarezza del pensiero e la lingua è una diretta conseguenza di ciò che la nostra mente elabora. Comunica meglio e, aggiungerei, scrive meglio, chi ha un pensiero articolato ma limpido.


Adoperare dei trucchi per comunicare efficacemente non diventa una sofisticazione, un’adulterazione, un’alterazione che può compromettere il tessuto dei rapporti, minandoli sul piano etico?

Secondo me non si comunica efficacemente se si usano dei trucchi. Tutto ciò che è artificiale o fasullo alla fine rivela la sua inconsistenza. Il mio maestro in comunicazione è stato Oliviero Toscani che, anche nella fotografia commerciale, ha sempre usato un'immagine semplice, diretta. Ho imparato da lui che, se si ha qualcosa da dire, bisogna dirlo o comunicarlo in modo da farsi capire.


Lei è un buon conoscitore della scrittura di Mircea Cărtărescu e ha scritto un’ampia recensione al suo romanzo Solenoide, pubblicata su «Doppiozero». Quali sono, per lei, i tratti definitori della scrittura di Cărtărescu e a quale scrittore italiano lo vedrebbe più vicino?

Sono rimasto affascinato da Solenoide che è il primo libro che ho letto di Mircea Cărtărescu. Non posso, quindi, dire di essere un buon conoscitore della sua opera. Ma questo libro è stato per me una lettura importante con le 937 pagine dell'edizione italiana. L'ho letto in quattro giorni, non riuscivo a staccarmi. È un libro che ti costringe a ingaggiare una lotta con lui, perché alcune parti sono ostiche, respingenti. Ma, come accade nella letteratura migliore, poi tutto si ricompone nella mente del lettore che trova significato anche in ciò che lo aveva disturbato, o che gli era sembrato superfluo. È un libro che accosterei ai grandi classici della letteratura italiana, per la sapienza della costruzione, i rimandi letterari, la stratificazione del racconto, i molti personaggi.


Quali sono gli altri scrittori romeni che hanno attirato la sua attenzione?

Ho letto Cioran e ho visto a teatro alcune pièce di Eugène Ionesco.


La rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» registra le pubblicazioni di letteratura romena in traduzione italiana nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia anche tra i non addetti ai lavori?

Credo che ci sia molto lavoro da fare per far arrivare la letteratura romena al grande pubblico. Anche il romanzo di Cărtărescu lo definirei molto élitario, nonostante abbia avuto un'ottima accoglienza in Italia, insieme agli altri suoi romanzi. Cărtărescu è sicuramente un ottimo ambasciatore in questo senso. Uno scrittore come Cioran, che è diventato ormai un classico, ha contribuito a far conoscere la letteratura, la filosofia romena, che però meriterebbe un ascolto maggiore, data anche la vicinanza tra i nostri due popoli, gli italiani e i romeni.


Per allargare la prospettiva, quali direzioni, mete o deviazioni vede attualmente caratterizzare il panorama letterario italiano e internazionale?

Mi sembra che domini sempre l’America, con i Franzen, i DeLillo, i Roth. Vedo imporsi la Spagna con scrittori importanti come Fernando Aramburu, Xavier Marías. La Francia, con Emanuel Carrère e Michel Houllebecq. Mi interessa come gli scrittori raccontano o non raccontano l'epoca digitale che stiamo vivendo, tra rifiuto della tecnologia e critica al sistema di prevaricazione e di controllo che sembra esercitare su di noi. Vedo un ritorno alla narrazione classica, senza sperimentalismi, puntando a storie avvincenti, che incatenino il lettore e questo mi piace molto, perché leggere narrativa deve essere anche un piacere.


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

I libri che mi piacciono di più sono quelli che riescono a raccontarmi qualcosa del presente che viviamo. Come si sente l'autore e cosa prova non è interessante se non riesce a calarsi in una realtà che il lettore possa riconoscere o che magari non aveva considerato e, quindi, la scopre o la considera con uno sguardo differente.
C'è tutto un filone di letteratura che definirei «consolatoria», destinata a chi crede che un libro possa salvargli la vita, animata da buoni propositi e buone intenzioni che io riconosco dalle quarte di copertina e che evito accuratamente. Penso, al contrario, che la letteratura faccia bene quando fa male.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Non mi interessa la categoria «letteratura femminile», così come aborro la definizione «letteratura gay», ma mi piacciono molto alcuni romanzi scritti da donne. Ho letto recentemente la bellissima epopea africana di Namwali Serpell (in italiano Capelli, lacrime e zanzare, Fazi editore), ho scoperto la scrittrice di origine italiana naturalizzata francese Inès Cagnati (Adelphi ha tradotto ora un suo libro del 1976, Génie la matta). Certo non perdo tempo con le scrittrici-sociologhe del #metoo o dell'ideologia woke, quelle che scambiano la lotta di classe con la lotta di genere.


La contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni oralità/scrittura e poesia/prosa, ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo, traletteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo della critica è condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del digitale?

A me piace ascoltare libri o pezzi di libri in podcast e mi capita di leggerne qualcuno in pdf sullo schermo del mio smartphone. Ma se dovessi dire che queste metodologie rimpiazzeranno il libro cartaceo, direi di no. Conviveranno, come hanno sempre convissuto tutti i mezzi di comunicazione via via che il progresso li aggiornava. Siamo nel 2022 e riempiamo ancora i teatri per andare a vedere l'opera lirica, questo non vuol dire che disdegniamo una serie su Netflix da consumare sul pc. Vedo molti ragazzi su Tik Tok che consigliano i libri che leggono e li recensiscono con frasi lapidarie, tipo This is a work of art, this is a bullshit, L'hype è ampiamente giustificato, Ti convinco a leggerlo per il suo aesthetic. Non so se questa sarà la critica del futuro: conviverà però con la critica tradizionale, a cui siamo abituati. Sono ambedue esercizi di stile che non si elidono a vicenda, semmai si compensano, o si rivolgono a target differenti.


Sono passati più di trent’anni dalla pubblicazione dei primi libri della cosiddetta letteratura della migrazione. Pensa che ci sia sufficiente attenzione su di essa? Ritiene inoltre che abbia avuto qualche influenza nella produzione letteraria degli autoctoni?

Qui in Italia non vedo una vera letteratura della migrazione, se si intendono libri scritti in italiano da autori di etnia e lingua diverse. C'è sicuramente in Usa, in Francia (penso a Tahar Ben Jelloun), in UK (Hanif Kureishi), in quei paesi che hanno avuto un passato coloniale e che hanno vissuto ondate migratorie che, in Italia, sono solo all'inizio. Noi italiani siamo stati emigranti per molto tempo. Parlavo prima della scrittrice Inés Cagnati, di una famiglia di contadini veneti emigrati in Francia: riuscì a diventare insegnante di francese in un liceo prestigioso di Parigi e scrisse sempre in francese, pur considerando la sua naturalizzazione «una tragedia». La migrazione è un topos letterario che ha affascinato molti scrittori. Spulciando in rete ho trovato uno scrittore romeno, Mihai Mircea Butcovan, che ha pubblicato in italiano Allunaggio di un immigrato innamorato, dove descrive vizi e virtù di italiani e romeni. Sembra interessante, lo leggerò.







A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 4, aprile 2022, anno XII)