Roberto Pazzi: «Il microautobiografismo è uno dei vizi della narrativa odierna»

Continua la nostra inchiesta, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, con diversi argomenti di attualità nel campo della letteratura. Ospite dei nostri Incontri critici è Roberto Pazzi, poeta, narratore e giornalista tradotto in ventisei lingue, con più di trenta pubblicazioni fra sillogi e romanzi. È considerato uno dei più originali e visionari scrittori italiani. Già collaboratore del «Corriere della Sera» e «The New York Times», oggi è opinionista di «QN». Ha insegnato nella scuola e nell’università a Ferrara e a Urbino. Della sua opera ricordiamo, fra i titoli di poesia, Calma di vento (1987, premio Montale), Felicità di perdersi (2013, premio Lerici Pea), Un giorno senza sera (La nave di Teseo 2020, premio Rhegium Julii) e, fra i romanzi, Cercando l’Imperatore (1985, premio Selezione Campiello), La principessa e il drago (1986, finalista premio Strega, in corso di nuova pubblicazione presso La nave di Teseo), Vangelo di Giuda (1989, superpremio Grinzane Cavour), La stanza sull’acqua (1991), La città volante (1999, finalista premio Strega), Conclave (2001, superpremio Flaiano), L’ombra del padre (2005, premio Procida Elsa Morante), Mi spiacerà morire per non vederti più (2010) e Verso Sant’Elena (2019). Del 2018 è Come nasce un poeta, suo epistolario con Vittorio Sereni, prefatore dell’esordio in poesia. Il nostro dialogo prende spunto dal suo ultimo romanzo, Hotel Padreterno (La nave di Teseo, 2021).


Il Dio di cui scrive in
Hotel Padreterno vorrebbe assaporare «la dolcezza di una vacanza dall’eternità». Perché ha desiderato riflettere di un Dio fragile, incline all’amore terreno, davvero troppo umano?

Perché il mio sentimento di Dio è indissolubilmente connesso alla carne che ha creato, alla filialità, all’aspirazione a un rapporto di Figlio col Padre, che non finisce mai, ma l’ho anche arricchito da un senso materno, facendo mia la famosa frase di Papa Giovanni Paolo I, «Dio è anche madre». Quel che lei chiama «fragilità» è la sostanza dei sogni di cui siamo fatti di shakespeariana memoria. Volevo guarire dall’alienazione religiosa, da questa proiezione eterna dell’uomo su un doppio migliore di lui. Cosa che ho già analizzato in Vangelo di Giuda, mio romanzo del 1989 uscito da Garzanti oggi in libreria da Bompiani.


La Roma descritta in Hotel Padreterno è al contempo reale e fantastica, cuore del mondo cristiano ma infestata dalle peggiori perfidie. Ha inteso la «città eterna» come metafora della contemporaneità?

No, Roma è Roma, non è metafora che di sé stessa. Ombelico del mondo antico e in qualche modo anche dell’Europa moderna, luogo difficilmente collocabile in una geografia … Cesare e Cristo l’hanno non a caso eletta a loro sede. Ma avendo vissuto anche a Roma, ho avuto modo di descriverla dal di dentro, ascoltando quello che mi raccontava dei suoi 3000 anni. E la città più bella del mondo.


Il suo Hotel Padreterno gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Qual idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?

Quella che è emersa nella storia della famiglia Malvasia, fatta di tante contraddizioni, di incomprensione e pietà, solitudine e slanci d’amore, redenta dal bambino più magico del mondo, che subito capisce chi sia il vecchio signor Giovanni Eterno. Ma Giovanni Eterno ci prende gusto a vivere la sua vacanza romana e si innamora, si compiace di una buona cucina, di bere del vino Greco di Tufo, si stempera nell’indugio della gioia dei sensi, si ammala di umano fino alla suprema espressione di questo, innamorarsi… e di lì l’esigenza di provare anche la suprema esperienza umana, la morte.


Lei ha asserito: «Sono partito dal dato inquietante dell’inverno demografico nel nostro Paese e dalla mancanza di proiezione in avanti della società, l’egoismo, il bisogno di vivere per essere invidiati e di non pensare mai a chi verrà dopo, e quindi ai figli». Decidere di mettere al mondo un figlio non dovrebbe essere una scelta discrezionale?

Non saprei risponderle, non ho messo al mondo dei figli perché non volevo mettere al mondo dei futuri morti. Comunque credo che non sia una scelta discrezionale, credo sia il risultato di una fusione di due corpi che sragionano finalmente e si proiettano oltre sé stessi…


La lotta politica, l’adesione a una causa: i nostri tempi possono ospitare, a suo avviso, siffatti propositi di cambiamento sociale attraverso il canale della Letteratura?

La Letteratura non è schierata mai e lo è sempre. Se è buona Letteratura è progressista e tende a migliorare la condizione umana arricchendola di bellezza, di verità, di un aroma che è impossibile fermare nell’etichetta politica.


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Cantare l’umano, «un arricchimento di vitalità» diceva Leopardi. Dovrebbe ampliare lo sguardo oltre il microautobiografismo, che è uno dei vizi della narrativa odierna, basti pensare ai romanzi della scelta dello Strega, tutte storie di formazione e di famiglia, che non sanno proiettarsi in una prospettiva epica, magica, fantastica… grandiosa… Dove sono oggi i Calvino, i Buzzati i Landolfi?


Hegel sviluppa una definizione del romanzo: esso è la moderna epopea borghese. Lukács afferma che questo genere, essendo il prodotto della borghesia, è destinato a decadere con la morte della borghesia stessa. Bachtin asserisce che il romanzo sia un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi. Oggi, si notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede di un genere che continua a sfuggire a ogni codice?

Mi sembra che il romanzo sgusci fra le dita di chi lo vuole stringere in una definizione. Tutte le generazioni hanno bisogno di definirlo ma nessuna riesce a pietrificarlo in una assoluta. Credo che il romanzo sia il figlio bastardo del poema, e sia appena nato, con Cervantes, ha ancora una lunga vita davanti, come il poema che visse due millenni…


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
 
Non saprei rispondere a questa domanda. Sono amico di alcune scrittrici come Dacia Maraini e Francesca Capossele. Non distinguo una scrittura femminile da una maschile, per me esiste la scrittura e basta, non ha sesso.


La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2022. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Ho letto tutto Cioran, autore che adoro. E studiato Mircea Eliade. Sono stati tradotti due romanzi miei in Romania, Vangelo di Giuda e Conclave e molta poesia. Sono stato a fare conferenze a Craiova e a Bucarest, ho avuto modo di sentire che l’anima latina di quel paese era fraterna alla nostra, con una particolare sensibilità per la Poesia.






A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 7-8, luglio-agosto 2022, anno XII)