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 |  | Sabatina Napolitano: «Trovare un buon libro è come portare la tua donna nella casa dell’infanzia»
 
  Nella  sezione Scrittori per lo Strega della  nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone,  vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori   candidati al Premio e quelli segnalati all’edizione n. 76, e con i  loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad  altri argomenti di attualità. Sabatina Napolitano, scrittrice, poetessa e critica letteraria nata a  La Maddalena (SS) nel 1989, è stata segnalata per il suo primo romanzo, Origami (Campanotto, 2021). Renato Bessana lo presenta così: «Questa prima prova narrativa della giovane autrice è ambientata   nell’immaginaria città di Itaque, che sembra ruotare attorno a una   grande biblioteca. La protagonista, Olga, ne diviene la bibliotecaria e fonda una rivista di letteratura, Origami. [...] Il romanzo può esser letto come un apologo sulla centralità della parola   scritta. Lo stile è rapido, colloquiale, non privo di accensioni. La   vita come un foglio di carta che si può piegare a ripiegare in forme   inattese: un origami, appunto».
 
 
 In un suo intervento,  Sabatina, lei ha citato Nabokov, il quale «racconta un episodio in Pnin dove il protagonista si dimostra alquanto recalcitrante all’idea di dover  restituire un libro non ancora finito». Olga, la protagonista di Origami,è una  bibliotecaria. Quali sono i suoi  mentori rispetto alla «letteratura delle biblioteche»?
 
 Ho  citato spesso Pnin di Nabokov, un émigré titolare di un corso all’università di  Waindell che si trova sul treno sbagliato. L’università di Waindell non esiste,  è un po’ come Itaque. Si tratta di luoghi finzionali che possono rappresentare  tutti i luoghi. Nel caso di Nabokov, Waindell era probabilmente a metà tra  l’Università di Cornell (Università di Ithaca negli Stati Uniti) e l’università  di Wellesley. Pnin è un professore di russo che si trova spaesato negli Stati  Uniti e non riesce per niente ad adattarsi. Nabokov spesso inserisce delle  manie nei personaggi, anche Pnin ha diverse fissazioni. Le biblioteche sono un  po’ come il portafogli, il mondo e le lenzuola dello scrittore e del critico.  Non riusciamo per nulla a immaginare un mondo senza tradizione, senza librerie  o biblioteche. Credo che leggere non sia solo un modo per scacciare la noia, ma  trovare un buon libro è sempre come portare la propria donna nella casa  dell’infanzia, dei ricordi. Per alcuni amanti non esiste luogo più bello che la  casa dell’infanzia, dico per alcuni. Per altri il luogo dell’infanzia potrebbe  semplicemente essere una prigione soffocante. Una biblioteca può essere il  luogo in cui ci si ribella a una umiliazione, a una storia di privazioni, a  soprusi non richiesti. L’interesse che ho sempre conservato per i libri, per le  biblioteche e le librerie in generale è anche riferibile alla capacità delle  biblioteche di amplificare la percezione del luogo in cui ci si trova. Nel  palcoscenico della vita, l’età matura, gli odi reazionari, le privazioni, sono  situazioni che possono identificarsi nel «sacrificio» che un individuo fa per  un altro. In questo di certo Pnin è un personaggio emblematico. Il «sacrificio»  sta sempre a metà tra l’adattarsi e il sentirsi «impossibili». Un modo per non  restare sopraffatti dagli eventi così come dalle cose della vita è sicuramente  rivolgersi a esperti tecnici, o semplicemente continuare a farsi delle docce  fredde fin tanto che i pensieri di dolore, di sacrificio o di scommessa non  cambiano, fino a quando in accappatoio non ci sentiamo più derelitti, nel  tentativo di reiterare un passato e un futuro di fatto impossibili.
 
 
 In Origami è assente lo Spannung, il  colpo di scena, eppure la sua «penna» irretisce, esemplificando le trame  interiori insite nell’umano. Quale idea ha inteso veicolare del  tessuto invisibile di cui siamo fatti?
 
 Il  discorso di Origami è inscrivibile  nella fiaba onirica e nel romanzo sociale. Ritornando a Pnin, sappiamo che è un  inadattato alla ricerca di un senso che non trova mai. Nabokov probabilmente  mette un po’ delle sue condizioni in Pnin, era anche lui un emigrato e diventa  un professore di russo in California dopo essere scappato dalla Germania. Così Olga  probabilmente non è il mio alter ego ma ha alcuni miei saperi iniziatici, anche  se poi resta un personaggio finzionale. Olga non compare nei suoi pensieri  interiori, se non attraverso i richiami di Rossana ed Emilio che non la turbano  affatto e finiscono per non turbare neanche il lettore. In Origami non ci sono momenti divertenti o esilaranti, vengono  descritti gli impiegati nella magica biblioteca di Itaque, così come vengono  descritti fuori dalla biblioteca. I personaggi sono uniti dall’appassionato interesse  per la biblioteca di Itaque, e non hanno grandi difficoltà di integrazione  perché la funzione dell’intero romanzo è raccolta dal sogno di Olga. Il  discorso dell’intero romanzo sta nel non essere per nulla un romanzo  autobiografico, e nell’essere la storia affettuosa e controversa di una  bibliotecaria che è inserita nelle logiche strambe e talvolta fuori luogo degli  impiegati.
 
 
 Dalla sua prospettiva, come  cambia la vita per mezzo della letteratura?
 
 Origami è un romanzo sulla letteratura delle biblioteche e sulla riflessione  letteraria. È un romanzo di una bibliotecaria che non parla mai direttamente di  libri e non parla mai direttamente di sé stessa perché tutta l’atmosfera è  permeata da una proiezione, come da un sogno. Anche le lezioni che avvengono  all’interno della biblioteca sono viste appena nei giochi della narrazione  perché tutto è dato al lettore nel senso di una catarsi. Tutto sembra  insignificante e irreale, in realtà ci accorgiamo subito che finisce per essere  spietato e in dei tratti terrificante. Nessuno avrebbe voluto sentire parlare  di Olga se non avesse avuto realmente una vita a metà tra il terrificante e il  magico.
 
 
 Lei è una poetessa,  oltre che critica letteraria. La sua  versificazione appare sensibilmente refrattaria al rispetto ovvio e ossequioso  delle norme. Qual è la chiave d’accesso per discriminare i  suoi intenti creativi e comunicativi?
 
 Ho  sempre avuto la 'parlantina'. Credo che la voglia di scrivere è venuta molto  prima della voglia di poetare. Se avessi avuto una sorella sarebbe andato forse  tutto diversamente, il fatto è che sono cresciuta sostanzialmente sola. La mia  vita è stata agghiacciante e ridicola come quella di Olga in alcuni tratti. E  può essere riletta come una prosa-poesia, anche se le riletture sono rischiose.  Non amo le biografie, non ho la pretesa di sostenere che la mia biografia  agghiacciante e ridicola per certi tratti possa assurgere a un ruolo funzionale  e, tra l’altro, illudermi di contemplare per lassi di tempo la curiosità di un  critico. La poesia così come la critica può riempire la vita di un uomo solo.  Se ci riesce, e riesce a dare un senso all’infondatezza di gesti comici quanto  disperati, ecco che in quel momento sia la poesia che la critica hanno avuto un  ruolo. È ben difficile capire quale sia la luce di questi contesti. Sicuramente  l’osservazione della complessità aiuta a definire circostanze tristi, e  trasformare in opportunità meravigliose. Ma questa tensione appare solo in dei  punti. È necessario comprendere che sia il ruolo della poesia come quello della  critica sono in realtà fallibili e fallimentari.
 
 
 La scrittura può avere un potere costitutivo o anche salvifico?
 
 Credo vivamente di no e lo  dico con l’esperienza degli anni. Il critico non cambia né alla luce di un  romanzo perfetto, di una silloge speciale o di una occasione sensazionale. Il  critico non cambia la sua chioma, è fisso, imperturbabile. E in questa sua  camera da pranzo, alla fine, non resta che l’illusione di una vita-altra  vissuta guardando gli altri, in una modalità immersa e fantasiosa. Se la poesia  e la critica hanno il potere di liberare da questo? Ce lo chiediamo? No, non ne  hanno il potere. La poesia e la critica non hanno alcun potere salvifico, ma  accennano solamente a degli elementi di dialogo e confronto. L’unica cosa che  salva è sfogare la pulsione in creatività così gli istinti di morte, come gli  istinti di vita, vengono canalizzati verso una opera. A volte la creatività  deve essere tenuta a bada, e va portata la macchina al lavaggio.
 
 
 Bachtin asserisce che il romanzo sia  un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi.  Oggi, si notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede  di un genere che continua a sfuggire a ogni codice?
 
 Sono  assolutamente convinta delle forma ibride essendo Origami stesso una forma ibrida. Il punto del romanzo è che finisce  per non essere più l’amante di niente e questo «niente» è molto più vicino alla  ricerca filosofica che letteraria. La questione del romanzo sta, a parer mio,  di non rendere favolose le banalità per poi finire di marginare i capolavori.  Se si continuano a rendere spettacolari le banalità, allora perdiamo anni, e  decisamente troppi a dare importanza a ciò che non ne ha. Il punto è proprio  questo, che la spazzatura esibizionistica dovrebbe essere lasciata andare per  un senso dignitoso del fare letteratura.
 
 
 La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate,  vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è  l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
 
 Non  credo nella letteratura femminile e non credo ci siano pioniere prima di me,  anzi sostengo fortemente che quell’esibizionismo lasci vita a delle banalità  perpetuate a cui viene dato il peso di un capolavoro. D’altra parte, sostengo  però che molte sono le scrittrici veramente capaci, soprattutto quelle che  tendono al genere biografico e saggistico. E credo che le incontrerò e ci  incontreremo per intessere un rapporto di fiducia.
 
 
 Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione  costituisce una «sintesi organica  dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno  specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in  opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel  frangente storico che stiamo vivendo?
 
 Credo  che citare De Sanctis sia un po’ anacronistico, come tentativo basti parlare di  Siti, Simonetti, Mazzoni, Cortellessa. Immagino che la scrittura sia quel  momento in cui da sdraiato ti ostini a non volerti più alzare. La scrittura è  spesso un motivo personale, soggettivo, che finisce col diventare comune a una  nazione, nel caso di identità cosmiche. Finisco con l’essere una scrittrice  mite e in alcuni tratti molto spirituale, quindi sono tra le poche fortunate a  poter dire di non avere avuto la poesia in prestito o la scrittura in prestito  ma che sono connaturate alla mia identità, come alla mia natura. Diversamente  dalla traduzione che non mi appartiene come campo, la scrittura mi fa sentire  completa e riempie le mie attenzioni verso altri campi tendenti alla  saggistica. La scrittura è una possibilità, un canale. C’è bisogno di una  dedizione inaudita così come di un rispetto profondo.
 
 La letteratura romena si fregia di una robusta altresì  varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di  punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil  Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le  pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021.  Quali scrittori romeni hanno attirato  la sua attenzione?
 Di sicuro  Herta Müller, in particolare L’altalena  del respiro ci rimanda a una riflessione fondante soprattutto in periodi di  guerra come quello che stiamo vivendo. Lo stesso Cioran di Lacrime e santi. Cito solo due libri in questa sede perché non  basterebbe un saggio di seicento pagine a parlare dell’importanza della  letteratura romena. Libri questi due che cito, che predispongono ad abbattere  la spazzatura letteraria per la letteratura dell’umanità, si intende la vera  letteratura, il vero richiamo.
 
 
  
 
 
 
 A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
 (n. 5,  maggio 2022, anno XII)
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