Simona Moraci: «Credo che la scrittura, la lettura possano avere un valore salvifico»

Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori candidati al Premio e quelli segnalati all’edizione n. 76, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Simona Moraci è stata segnalata per il romanzo Duecento giorni di tempesta (Marlin, 2021). Aldo Cazzullo lo presenta così: «Ho letto un libro di un editore piccolo e perciò prezioso: Duecento giorni di tempesta di Simona Moraci (Marlin). Lo propongo per la qualità della sua scrittura, capace di raccontare emozioni e trasformazioni interiori e di rielaborare l’esperienza nelle scuole a rischio vissuta dalla stessa autrice. Una realtà poco conosciuta e che costringe gli insegnanti, in una frontiera così bene raccontata dalla scrittrice, a contrapporre l’affetto e la cura alla violenza e alla sopraffazione che si respirano in luoghi ai margini. Luoghi e figure che trovano nella pagina forza espressiva grazie a uno stile maturo».


Duecento giorni di tempesta, terza edizione per Marlin editore. Una scuola esplosiva. La sua preziosa narrazione illumina anche il disgraziato, il derelitto, lo scarto umano, il microscopico. In fondo, è la biografia di tanti. Ha avuto uno scopo di liberazione di quei tanti, appunto, abusati da pregiudizi, malelingue, offese e pubblico giudizio?  È il rinascimento degli invisibili?

Mi viene in mente una bellissima frase di Anna Maria Ortese ne Il mare non bagna Napoli in cui narra di «una miseria senza forma», tanto profondo è il dolore del luogo, la ferita dentro l’anima. La prima volta che sono arrivata in un quartiere difficile della mia terra senza pace, ho toccato quel dolore e quella miseria che per me era stata, sino a quel momento, solo pagina letteraria, racconto dell’anima. In questi lunghi anni trascorsi immersa in realtà apparentemente senza luce, ho imparato che l’amore è l’unica via per uscire dal buio. E da questo sentimento comincia la lunga via verso il riscatto, la rinascita.


Un quartiere a rischio di una città di mare siciliana in mano alla criminalità. Il plurilinguismo caratterizza il contesto da lei descritto. Antonio Gramsci scriveva che «ogni volta che affiora, in un modo o nell’altro, la questione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione e l’allargamento della classe dirigente, la necessità di stabilire rapporti più intimi e sicuri tra i gruppi dirigenti e la massa popolare-nazionale...». Reputa che tale questione sia a tutt’oggi aperta?

La questione della lingua riveste un ruolo importante nell’evoluzione della società e si ripresenta ogni qual volta ci occupiamo di essa. Credo che oggi sia venuto meno il valore simbolico ed evocativo della parola, quell’essenza presente nella poesia, basti pensare a Pascoli. In un contesto scolastico, di formazione ed educazione, che è anche educazione al linguaggio, essa rappresenta un legame, tra gli attori della scena. Così, nel romanzo, il legame che si stabilisce tra l’insegnante e gli alunni passa anche attraverso la parola, per cui la stessa protagonista viene considerata ‘straniera’, quasi la lingua fosse foriera di una alterità che allontana, di un codice ‘estraneo’, altro. In questo senso forse si ritrova il senso delle parole di Gramsci.


Sonia, giovane docente in fuga dal passato. Andrea, collega d’Arte. Stefano, un uomo sfuggente che alterna silenzi e fughe. Questo è un libro che gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Qual idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?

I rapporti umani sono complessi, ma sono anche guidati dalla passione che troviamo nell’altro, quasi ci fosse, nell’amore, nell’attrazione quella scintilla divina che è affannosa ricerca d’infinito dell’essere umano. Desideravo descrivere questi sentimenti così come li ho percepiti, amplificati, profondi, a volte, corrosivi. Vivere in questa realtà aiuta a esternare la rabbia, l’amore, la passione quasi non vi fossero confini: ciò che accade tra i personaggi li aiuta a polverizzare i fantasmi del loro passato, a far emergere la parte più viva e vera del loro essere.


Una città di mare siciliana. Di quale senso sono forieri i luoghi siciliani citati?

Sono i luoghi che raccontano il senso di appartenenza, il legame con la terra, che sento forte sin dall’infanzia. La Sicilia fatta di luce, tra le ombre del mio animo: una terra spesso indolente, feroce che racconta un passato millenario. Essere siciliani è come sentire nel sangue le civiltà che hanno reso splendida questa terra, cullata dal mito, dalla leggenda. I miei ricordi sono quelli di bambina che si stupisce dei colori e dei profumi, dell’azzurro dello Stretto che muta la sua veste di luce, dello Scirocco che porta con sé i sapori moreschi di terre lontane. Sono forieri di poesia.


La contemporaneità non contempla esclusivamente le opposizioni oralità/scrittura e poesia/prosa, ma anche la possibilità di scelta tra e-book/online e cartaceo, tra letteratura cartacea e digitale. Quanto lo sguardo di un autore è condizionato dal profumo della carta stampata o, viceversa, dalla comodità del digitale?

La prima volta che ho scritto una pagina di romanzo ero nell’ufficio di mio padre. Avevo preso un foglio e sentivo il profumo dell’inchiostro, della stilografica poggiata sulle sue carte. Poi lui, con la grazia che gli era propria, mi chiese cosa stessi facendo. E io gli confessai, non senza un lieve rossore, questa mia idea di raccontare: prese il foglio e lo mise nella sua macchina da scrivere e mi invitò a iniziare. Per me la scrittura è ancora questa, il fascino della carta, l’emozione di sfogliare un libro, di percepirne il profumo.


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d’un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Attribuisco alla parola, e alla scrittura, un valore catartico. Le emozioni, la memoria, il desiderio, il futuro nella scrittura trovano una forma, una dimensione che apre le porte di universi altri. E in tali universi è possibile vivere, esplorare, raccontare ciò che si è e si prova. La società attuale è ‘veloce’, attraverso linguaggi che scarnificano la parola, si pensi ai social network, in cui l’immagine sovrasta e annichilisce ogni pensiero. Ritengo quindi che la scrittura, la lettura possano avere un valore salvifico, che porti a rallentare, a tornare nel tempo della riflessione e del pensiero.


Hegel sviluppa una definizione del romanzo: esso è la moderna epopea borghese. Lukács afferma che questo genere, essendo il prodotto della borghesia, è destinato a decadere con la morte della borghesia stessa. Bachtin asserisce che il romanzo sia un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi. Oggi, si notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede di un genere che continua a sfuggire a ogni codice?

Il romanzo è visione, ritratto, persino ossessione. È racconto dell’anima e di un tempo che a essa appartiene. In una società aperta a molteplici stimoli, credo che esista una pluralità di visioni, e il romanzo non sfugge a questa temperie. Nelle mie letture, quelle che rimangono nel cuore, nella formazione del gusto letterario, ravviso ancora la necessità di dissetarmi a una pluralità di stili e sensazioni. Mi sono innamorata, da ragazzina, della scrittura di Jane Austen, o amato, anni dopo, la scrittura, come pioggia a dissetare l’anima, di José Saramago. Mi sono persa nell’edonismo di Oscar Wilde e ho ritrovato me stessa nel dolore di Anna Maria Ortese.

La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Le donne raccontano attraverso una sensibilità che rende visibile ciò che è sommerso, nascosto, annidato nell’io. Nel mio romanzo ho messo in luce un tema a me caro, quale quello della maternità, l’idea di vita legata a essa, il fantasma del figlio che dilania l’anima con il suo sguardo appena aperto su una vita negata. Credo che la forza delle donne che scrivono, che raccontano sia racchiusa in questa sensibilità, nell’idea di incanto che nasce dalla natura femminile e che si muove attraverso la scena del quotidiano, con l’infinita meraviglia di un istante che diventa inizio di un cammino straordinario.


La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. Quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Credo che in Italia si dia attenzione alla letteratura romena attraverso le opere di scrittori che sono straordinari cantori dell’anima. Il Salone del libro di Torino ospiterà gli scrittori Mircea Cărtărescu e Ioana Pârvulescu con lo storico dell’arte Victor I. Stoichita. Mi affascina la poesia di Ana Blandiana, la sua figura di donna, capace di narrare quel dolore filtrato attraverso i suoi occhi da bambina nei «margini della pioggia», la ricerca di un senso alla «linea» che separa il male dal bene, di un confine inafferrabile, a tratti evanescente, in cui la fragilità e la forza dell’essere umani si confondono e si intrecciano nella soglia di un ricordo.







A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 5, maggio 2022, anno XII)