Teodolinda Coltellaro: «Il divario di genere, molto evidente nelle mappature del sistema dell’arte»

A giugno, la nostra inchiesta esclusiva sulla donna artista si arricchisce di una nuova serie di interviste che approfondiscono e allargano ulteriormente la prospettiva sull’argomento. Il progetto, a cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin, andrà avanti nei prossimi numeri, continuando ad arricchire la nostra rete per il dialogo interculturale. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato a questo progetto, Inchiesta esclusiva donna artista.
La calabrese Teodolinda Coltellaro è critica d’arte, curatrice e collezionista. In questo dialogo, rispondendo alla domanda su «arte e donna nella storia», riformula quasi provocatoriamente tale binomio, trasformandolo in una dichiarazione netta e chiara: «arte È donna». E continua esaltando il ruolo della donna artista che, con lo sviluppo dell’arte moderna, da uno stato di minorità e invisibilità, ha dato «contributi significativi all’evoluzione dei linguaggi visivi». Forte della sua diretta esperienza e visione ha fondato con altre colleghe la rivista online specializzata, Artalkers


Arte e donna nella storia. Qual è, a suo avviso, la chiave di lettura di questo binomio?

«Arte è donna». Più che una provocazione è un’affermazione che fino a qualche tempo fa non sarebbe stata possibile; essa avrebbe introdotto non già a un’amplificazione dell’essere artista e all’artisticità come universo femminile, ma piuttosto a una sottolineatura di un’identità di genere, nella pura accezione linguistica.
In effetti, arte è un termine che volge al femminile, ma condensa in sé una semanticità non sempre sovrapponibile alla sua definizione di genere. Il vocabolo ha identificato nei secoli una dimensione della spiritualità e dell’operare creativo caratterizzata dal pressoché assoluto dominio maschile. Nei tempi passati, la donna dotata di talento artistico e di interiore ricchezza espressiva, viveva comunque una condizione marginale in cui declinava una sorta di controcanto suadente e ovattato dell’evento creativo maschile. Solo in rari casi l’eccezionalità delle doti manifestate e il determinarsi di condizioni favorevoli hanno permesso ad alcune di esse di praticare l’arte nelle sue forme più elevate e di affermarsi in un universo, per definizione, ‘maschile’. D’altronde, la donna nella storia dell’arte si deve leggere anzitutto come storia del ruolo della donna nella società del proprio tempo.


Giosetta Fioroni, Liberty viennese, 1966, pittura, tecnica mista, 100cmx141 cm

Come cambia questo binomio nei tempi moderni?

Con lo sviluppo dell’arte moderna la donna artista, anche in Italia, esce dal suo stato di minorità e di invisibilità e partecipa con contributi significativi all’evoluzione dei linguaggi visivi. Tra le artiste italiane che hanno iniziato a operare negli anni Quaranta-Cinquanta del secolo scorso, non si possono non ricordare Carla Accardi, che ha contribuito all’affermazione dell’astrattismo, o Carol Rama con le sue composizioni informali e la sua visionaria e trasgressiva figurazione. Negli anni Sessanta, nel nostro come in altri Paesi europei, nascono i «collettivi artistici», i «Gruppi», dando vita al fervido periodo di ricerche dell’arte programmata e cinetica in cui importante è il contributo femminile. Si pensi alle ricerche geometriche percettive della Dadamaino nel «Gruppo Punto», di Grazia Varisco cofondatrice del «Gruppo T» a Milano, o di Lia Drei cofondatrice del «Gruppo ’63» a Roma. Di quest’ultima sono diventata amica nell’ultimo tratto del suo cammino di vita e ne ho potuto ripercorrere l’intensa attività di sperimentazione e ricerca sia nello storico «Gruppo ’63» che, dopo la scissione del gruppo, nel Binomio «Sperimentale p.» co-fondato con l’artista Francesco Guerrieri, suo compagno nell’arte e nella vita. Parallelamente, Giosetta Fioroni assurge a protagonista di una nuova temperie artistica rivoluzionaria che ha caratterizzato gli anni Sessanta, unica donna del gruppo che viene poi denominato «Scuola di Piazza del Popolo», all’origine di quella che verrà definita la Pop Art italiana.
Gli anni Sessanta-Settanta sono anche gli anni della protesta femminista con la rivendicazione dei diritti a lungo negati, con l’affermazione di un’arte al femminile che si confronta quasi con violenza con «l’arte maschile», contrastandone la presenza esclusiva nelle istituzioni artistiche. È un rivendicare i propri spazi e un rigettare forme di esclusione e di ghettizzazione. A rendere la visibilità che meritano alle artiste italiane del Novecento, delle avanguardie e delle neoavanguardie, è un’altra donna, grandissima curatrice e critica d’arte: Lea Vergine. Fondamentale, in quest’ottica, la mostra L’altra metà dell’avanguardia, da lei presentata nel 1980 a Palazzo Reale, a Milano.


Giosetta Fioroni nel suo studio, Roma, Foto di Emiliano Zucchini

Come vede oggi la condizione dell’artista-donna in Italia?

Oggi la situazione è certamente migliorata. La cultura artistica contemporanea italiana annovera un ricco repertorio di nomi femminili che si attestano sulle linee di ricerca più avanzate e si confrontano non con il genere che attiene alla parola arte, ma con la sua sostanza di linguaggio, con una sua connotazione espressiva, tecnica, comunicativa, valoriale. Tra le più interessanti e attive a livello internazionale mi piace citare Sabrina Mezzaqui, Marinella Senatore, Chiara Dynys. Ma l’evidenza del gap di genere si evince ancora forte attraverso le recenti mappature del sistema dell’arte italiano laddove i numeri parlano chiaro: nella programmazione delle principali gallerie commerciali italiane di arte moderna e contemporanea, nelle istituzioni museali pubbliche e nelle fondazioni private che si occupano di arte contemporanea, ancora consistente è lo scarto delle presenze femminili nel processo di selezione rispetto al totale degli artisti attivi. Una disparità che, in termini di valore commerciale, si coglie anche nella distanza tra i record di vendita. In effetti, secondo i dati provenienti dal mercato dell’arte, le differenze di genere aumentano man mano che si sale verso il vertice della piramide poiché, in proporzione, diminuiscono le presenze femminili. Bisogna, quindi, prendere atto della persistenza del gap di genere e della necessità di affrontarlo attraverso un radicale cambiamento di prospettiva analitica e operativa che coinvolga dall’interno il sistema stesso dell’arte.


Lia Drei, Dietro la luce,1972, acrilico su tela, 120x130 cm
Galleria Nazionale d'Arte Moderna

Pensando all’essere artista-donna, ravvede una specificità di punto di vista esclusivamente muliebre; un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime dell’arte declinata al femminile?

La donna artista elabora e produce opere di estrema raffinatezza formale, di intensa partecipazione emozionale, di grande forza poetica, in cui il ricorso alla sensibilità tutta femminile ne identificano la dimensione creativa; ma, sa essere anche cruda e violenta, forte e ironica, dissacrante e dirompente come e più degli artisti uomini. Questo nella piena consapevolezza che di per sé l’arte è priva di sesso e che i percorsi di ricerca condotti dalle artiste donne, la valenza linguistica delle loro opere possono essere egualmente determinanti nello sviluppo storico dell’arte contemporanea.


Chiara Dynys, Liseberg, 2017, fusione di metacrilato, foto, vetro, argento, 53x69x4 cm

Esiste un network delle peculiari professionalità artistiche, ovverosia un’unione tra i modelli teorici e le prassi artistiche, pensando a collezioniste, critiche, curatrici, artiste della mano e del digitale?

In questo caso porto la mia esperienza diretta. Come critica, curatrice e anche collezionista, con altre colleghe con cui intercorre un rapporto di grande stima reciproca e anch’esse curatrici, storici, critici d‘arte, abbiamo fondato un web magazine d’arte: Artalkers. A dirigerlo, concordemente, abbiamo voluto l’unico uomo del gruppo, insieme al quale è germinata l’idea fondativa. Validissimo artista italiano e graphic designer, riveste il ruolo di direttore artistico in questo progetto. Come declina l’about identificativo, Artalkers.it è un raccoglitore di voci, una piattaforma di sole interviste che dà voce immediata a creatori, interpreti e fruitori dell’arte contemporanea; dunque ad artisti, galleristi, critici, collezionisti, consulenti, giornalisti, blogger e a tutti coloro che abitano l’ecosistema dell’Arte Contemporanea. È un network in cui la presenza femminile risulta preponderante anche tra le collaborazioni, ma che esplora e analizza il sistema dell’arte senza elementi pregiudiziali di sorta né divario di genere, al di là di quelli che già il sistema stesso propone e che noi, con la nostra identità editoriale, contribuiamo a mettere in discussione e a contrastare.


Chiara Dynys. Vega, 2018. Installazione (dettaglio)
metacrilato, fotografia, vetro, oro, dimensioni variabili
(Image credit: Studio Chiara Dynys)


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Bisogna premettere che già l’essere figlia di una terra povera e lontana dai centri nevralgici del fare arte contemporaneo ha costituito un grande divario iniziale. Sono nata in Calabria, una regione bellissima, che amo, ma marginale nel sistema nazionale dell’arte e dove anche la mia scelta di intraprendere il cammino di critico d’arte è diventata una grande sfida, in primis contro una concezioneancora radicata che vede la donna relegata a certi ruoli piuttosto che ad altri e tra cui il mestiere del critico d’arte difficilmente figura. Poi, certo, ho subìto le difficoltà derivanti dalla disparità di genere nel mio settore. Di primo acchito, può sembrare che il mondo della cultura e dell’arte sia schierato contro sperequazioni legate alla diversità di genere e in prima linea nella salvaguardia dei diritti delle donne; poi, nell’esperienza concreta, ci si accorge delle grandi differenze di opportunità professionali proprio in questo sistema, apparentemente scevro da pratiche discriminatorie e comportamenti sessisti.  Esempio, è successo che, dopo essermi stata prospettata la curatela di un’importante mostra sull’opera di un artista già storicizzato che, tra l’altro, conoscevo benissimo (lo avevo presentato in più mostre, ricevendone, in vita, preziosi attestati di stima), inopinatamente siano stati ribaltati gli intenti iniziali e il progetto sia stato affidato a un critico che mai prima si era confrontato con il suo lavoro creativo, né aveva avuto l’opportunità di conoscerlo. Insomma, il mio cammino in questo settore è stato alquanto difficile e non privo di ostacoli, anche per il fatto di essere un critico donna.


Sabrina Mezzaqui, Fare fiori, 2017


Quali sono gli ingredienti caratteristici del suo linguaggio, del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’ rappresentato palesemente oppure celato?

Probabilmente l’aspetto più verosimilmente ‘femminile’ dei miei testi critici, delle mie analisi interpretative è una spiccata sensibilità, una profonda chiarezza linguistica, la capacità di produrre visioni in chi legge e di attraversare in modo sincero e attento il lavoro di ogni artista di cui mi occupo. Il grande artista Francesco Guerrieri, in una sua nota dedicatami, sottolinea «l’alta poeticità dei miei testi», definendomi poi – cito testualmente – «un critico d’arte-poeta». Scendendo più in profondità nelle peculiarità connotative del mio essere critico e del mio linguaggio, posso dire che la parola è diventata negli anni strumento d'indagine da affinare continuamente, conducendo il mio itinerare, tra sedimentazioni e nuove scoperte, verso conquiste analitiche, filiate da intuizioni, da approcci disciplinari multipli rispondenti a una naturale reticolarità di pensiero, per cui ogni atto di conoscenza è – per dirla con E. Morin – multidimensionale e non può essere dissociato dal proprio vissuto, umano e sociale. In questa direzione, allora, la parola è divenuta strumento di scrittura, articolazione insieme ponderata e creativa, ineguagliabile possibilità di costruzione di senso e di libera enucleazione di pensiero critico nelle distese linguistiche innovative dell'arte contemporanea.


Teodolinda Coltellaro, Intervista a Chiara Dynys, Artlkers



A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 6, giugno 2021, anno XI)