Classici romeni. Ion Luca Caragiale con «Racconti e schizzi»

Racconti e schizzi è il volume, edito da Cacucci editore (Bari 2021, pp. 234), che riunisce ventitré testi di uno degli autori più celebri della letteratura romena, il commediografo, drammaturgo e prosatore Ion Luca Caragiale (1852-1912). Cura e introduzione sono della romenista Adriana Senatore, già professoressa di Lingua e letteratura romena all’Università di Bari, autrice anche delle traduzioni insieme a Celestina Fanella, già lettrice e ricercatrice di Lingua romena all’Università di Udine. Offriamo qui due scritti, tra i più noti e tipici del suo stile, Bùbico e Gran caldo.


Introduzione

Nessuno, fra gli scrittori romeni che si sono affermati negli ultimi anni dell’Ottocento, ha intuito, al pari di Caragiale, la via verso la modernità: diversi modi di rappresentazione del reale, di conseguenza, la necessità di un nuovo canone letterario.
La contemporaneità dell’autore di Momenti è saldamente congiunta alla scelta di motivi tematici, nonché alla selezione di procedimenti stilistici innegabilmente innovativi.
L’obiettivo principale dello scrittore junimista è, da un lato, far sì che invenzione e realtà coesistano, e dall’altro, che il raggiungimento del lettore avvenga attraverso mezzi di comunicazione agevoli e diretti. Come dire, una sintesi fra creazione letteraria e giornalismo, dentro la cornice dello spettacolo. Perché Caragiale resta, in primo luogo, uomo di spettacolo a tutto tondo.
Da regista, mette in scena – narrativa o teatrale – commedie umane, dove i personaggi recitano sotto la bacchetta di un maestro scrupoloso, concentrato su ogni dettaglio recitativo: dal movimento drammatico portato al parossismo al gioco fiacco e indolente; dall’inflessione dialettale, timida o pronunciata, all’ambiguità semantica espressa attraverso paralogismi e sofismi.
Lo spettacolo – ora familiare, ora sociale, molto spesso politico o giornalistico – si svolge nel passato del vecchio regno di una Romania dai connotati balcanici con velleità occidentali, ma rispecchia il presente di un paese qualsiasi, geograficamente più vicino o lontanissimo dalla valle di Prahova.
Basti pensare al virus elettorale che contagia «comitati e comizi» di Una lettera smarrita, o alla frase memorabile di Telegrammi, dopo uno scontro serrato fra ministri, procuratori, prefetto, ex deputati, senatori: «Pupat toţi piaţa endependenţi» (‘Baciati tutti piazza dell’indipendenza’).
Così lo svolgimento narrativo convulso di Due biglietti vincenti (prima persi poi ritrovati) che conduce alla sorpresa finale con residuo di ambiguità. Il signor Lefter Popescu («lefter» significa ‘senza soldi’) si fida del banchiere che giudica sbagliati (invertiti) i numeri sui biglietti della lotteria. Invece, come uno scherzo sublime – non del destino ma dell’autore – il lettore perspicace scopre che i biglietti sono vincenti e che l’ingenuo protagonista rimarrà lefter (e fuori di testa) per il resto della vita.
Anche la visita, a casa dell’amico, di un anonimo ‘signore’ sfinito dalla canicola, si traduce in una costruzione dell’impianto narrativo palesemente assurdo: confusione di nomi (Mitică, Costică), di luoghi (via della Pazienza, via della Sapienza, numero 11 e 11 bis), fraintendimento di forme verbali (uscito, partito, a casa, in casa).
Sta qui, nella conferma dell’ambiguità e del nonsenso, la fonte dei primi testi teatrali di Eugène Ionesco.  

Celestina Fanella



BÙBICO…


Le nove e nove… Il treno parte tra sei minuti. Ancora un minuto e la biglietteria chiude. Acquisto in fretta il biglietto, raggiungo la banchina, corro al treno, sono sul vagone… Percorro tutto il corridoio alla ricerca di un posto più comodo… Qui. Una signora sola, e fuma... Tanto meglio! Entro e saluto, quando sento un ringhio e vedo apparire da un cestino accanto alla signora la testa di un cucciolo lanoso, pieno di nastrini rossi e azzurri, che comincia ad abbaiarmi come se fossi un malfattore entrato nottetempo nell’alcova della sua padrona.
– Bùbico! – dice la signora… – Sta buonino, cocco di mamma!
«Per fortuna, – penso – m’è andata bene!... Va’ al diavolo, cagnaccio!»
Bùbico si calma un po’, non abbaia più; ritrae la testa nel cestino, dove la donna lo ricopre di nuovo con uno scialletto di lana rossa, ma tutto quel ringhiare senza motivo… Molto seccato, mi stendo sul sedile di fronte alla signora e chiudo gli occhi. Il treno è partito… Nel corridoio i passeggeri camminano e chiacchierano. Bùbico ringhia stizzito.
– Signori, biglietti! – dice il controllore, entrando con fracasso nel nostro scompartimento.
Adesso Bùbico solleva la testa molto in alto e, volendo saltare fuori dal suo posto, comincia ad abbaiare in maniera ancora più terribile di prima. Io porgo il mio biglietto al controllore che lo oblitera. Non appena il controllore fa un passo verso la signora che cerca il biglietto nella piccola sacca a mano, Bùbico abbaia e guaisce disperato, divincolandosi per uscire dal cestino.
– Bùbico! – dice la padrona. – Sta buonino, cocco di mammina!
E porge il biglietto… Quando la mano del controllore tocca quella della signora, Bùbico sembra impazzito. Ma il controllore ha terminato il suo compito ed esce. La signora avvolge il prediletto e lo accarezza in modo ‘buonino’. Io mi stendo sul sedile e chiudo gli occhi, mentre Bùbico ringhia senza motivo, come un tuono in lontananza dopo il passaggio di una furiosa tempesta. Adesso non si sente più, ma sento lo sfregamento di un fiammifero: la signora si accende una sigaretta… Non ho ancora sonno. Perché non accenderne anch’io una? Ah! Per la fretta di non perdere il treno ho dimenticato di comprare i fiammiferi. Non fa nulla, però… Li chiedo alla mammina di Bùbico... Prendo una sigaretta, mi alzo e faccio per accostarmi alla signora, ma non riesco a fare un movimento che Bùbico scuote la testa abbaiando contro di me in maniera ancora più furiosa di quanto non avesse fatto con il controllore. Abbaia e guaisce, tossisce e…
– Bùbico! – dice la padrona. – Sta buonino, tesoro, cocco di mammina!
«Ti venisse il cimurro, cagnaccio del diavolo!», penso tra me e me. «Da che vivo non ho mai visto un cagnaccio più antipatico e schifoso... Se potessi, gli spezzerei l’osso del collo».
Tra gli strilli disperati di Bùbico la sua mammina mi fa accendere. La ringrazio e mi siedo al posto più lontano dello scompartimento, temendo di non resistere all’impulso e di dargli una botta in testa semmai lo facesse uscire dal cestino.
– Avete un cagnolino grazioso, – dico alla signora dopo qualche istante di silenzio – ma cattivo!
– Macché! Non è cattivo, – dice la signora – finché non si abitua a una persona, ma voi non sapete quant’è giudizioso e fedele, e sveglio! Ebbene, è come un essere umano, solo che non parla…
Poi si rivolge verso il cestino, con molto amore:
– Dov’è Bùbico?... Bùbico non c’è!...
Dal cestino si sente un guaito sdolcinato.
– La mamma dà uno zuccherino al suo bambino?... Bùbico! Bùbi!
Il bambino muove la testa con i nastrini… La mammina lo libera dai panni in cui era avvoltolato e lo tira fuori. Bùbico mi guarda e ringhia in sordina. Preso dal timore all’idea che il disgraziato cercasse di provocarmi, dico alla signora:
Madame! Per l’amor di Dio, tenetelo, perché non mi venga addosso! Io sono irascibile e non so che potrei fare in stato di… paura…
Ma la signora, prendendo in braccio il prediletto e coccolandolo con tutta la tenerezza:
– Ma per carità! Come potete pensarlo? Noi siano bimbi giudiziosi e beneducati… Non siamo zoticoni come Bismarck…
– Eh? – dico io.
– Bismarck dell’ufficiale della Papadopolina.
Dandomi questa spiegazione, la signora estrae dalla sacca a mano una zolletta di zucchero:
– A chi piace lo zuccherino?...
Bùbico (sollevandosi graziosamente su due zampe sul sedile, nonostante il dondolio del vagone): Bau!
– La mammina dà lo zuccherino al piccolino?
Bùbico: Bau! Bau!
E afferra la zolletta di zucchero e si mette a rosicchiarla… La signora prende da un’altra sacca una bottiglia di latte, ne versa in un bicchiere, poi:
– A chi piace il lattuccio?
Bùbico (leccandosi il muso): Bau!
– La mammina dà il lattuccio al piccolino?
Bùbico (impaziente): Bau! Bau!
«Ah! – sospiro profondamente. – Ti pigliasse l’accalappiacani, Bùbico!»
Ma la signora avvicina il bicchiere inclinato verso il muso del prediletto, che comincia a lappare, e lappa e lappa fin quando un passeggero appare alla porta del nostro scompartimento e guarda all’interno. Bùbico smette di lappare e comincia ad abbaiare come una belva con gli occhi sbarrati, mordendo a vuoto e digrignando i denti, tossendo e…
«Ti vedessi alla clinica Babeş, cagnaccio indemoniato!», penso, e per la mia mente cominciano a passare idee di ogni specie, una più crudele e infame dell’altra.
Il passeggero si è allontanato dal vetro. Bùbico si è calmato. La signora riprende a versare il latte nel bicchiere e beve anche lei. Sento che, sempre più irresistibili, mi assalgono cattivi pensieri.
À propos – dico – poco fa, madame, parlavate di Bismarck… di…
– Dell’ufficiale della Papadopolina…
– Ah! Che è Bismarck?
– Un mastino da guardia… Stava per ammazzarmi Bùbico… La Papadopolina ha una cagnolina, Zambilica, molto carina! Abita vicino casa mia, siamo amiche. E lui (indica Bùbico), una corte spietata! (Verso Bùbico:) Farfallone!... (Verso di me:) Miserabile di una domestica, una stupida! Le ho detto quando l’ha portato fuori la mattina – perché non sai com’è pulito! – «Sta attenta che non scappi e non vada di nuovo dalla Papadopolina, perché Bismarck, il mastino dell’ufficiale che sta a pigione da lei, lo farebbe a pezzi. (Tossisce molto intenzionalmente). Non so che cosa stavo facendo in casa, quando sento di fuori guaiti e strilli… Grido: «Bùbico! Bùbico! Dov’è il piccolino?!» Corro… Me lo portava in braccio la sciocca: l’avevano a stento sottratto dal grugno del mastino lei la Papadopolina e l’attendente dell’ufficiale. Lo avessi visto! Insudiciato, svenuto e floscio come un cencio. Dico: «Povera me, Il piccolino sta morendo!» Spruzzalo d’acqua! Mettigli un po’ di colonia sotto il naso!... Cosa non ho patito, lo so soltanto io… È stato malato due settimane… Ho chiamato anche il dottore. E alla fine, grazie a Dio, l’ha scampata… (Verso Bùbico:) Va più da Zambilica il piccolino?
Bùbico: – Bau!
– Vuoi che ti divori Bismarck… farfallone!
– Bau! Bau!
E salta giù dal sedile del vagone e si avvia verso di me.
– Signora! – grido, alzando i piedi. – Io sono irritabile, non mi si venga addosso perché…
– Ma no! – dice la signora. – Non vedi che vuole fare amicizia? Lui è così: sente subito chi gli vuole bene…
– Ah! – dico io, con un’ispirazione infernale. – Ah, sente chi gli vuole bene… Vuole fare amicizia?... Bravo!
E mentre il cagnolino si avvicina per annusarmi, prendo un sacchetto di caramelle che portavo a un amico in provincia; lo apro, ne tiro fuori una e, porgendola verso il basso con molta dolcezza:
– Vieni, vieni! Bùbico piccolino! Bùbi!
Bùbico, scodinzolando, si avvicina dapprima un po’ timido e titubante, poi, incoraggiato dalla mia dolcezza, prende con grazia la caramella e incomincia a sgranocchiarla.
– Vedi che avete fatto amicizia? – dice la signora, molto soddisfatta di que­st’approccio.
Poi mi dice la genealogia del prediletto… Bùbico è figlio di Garson e di Gigica, che era sorella di Zambilica della Papadopolina, il che significa che Zambilica gli è zia da parte di madre … Mentre la signora mi racconta, io, vincendo l’avversione e il disgusto in nome di un fine superiore, uso i mezzi più umilianti per entrare nelle buone grazie del nipote di Zambilica. E, in verità, Bùbico mi si avvicina del tutto, fino a farsi prendere in braccio. Sento battermi il cuore nel timore che in qualche modo, con un movimento o uno sguardo, possa tradire un grande progetto che avevo concepito nel profondo della mia coscienza. La signora non può non stupirsi abbastanza dell’amicizia che mi mostra Bùbico, mentre io premuroso coltivo con carezze e caramelle quest’amicizia a me tanto cara.
– Eh, vedi, come avete fatto amicizia… Che c’è, Bùbico? Che c’è, cocco? Vuoi bene al signore? Sì?
E Bùbico risponde, scodinzolando tra le mie braccia:
– Bau!
– Così? Hai dunque tradito mammina?... Farfallone!
Bùbico: Bau! Bau!
– Bisogna essere una brava persona! Lui non corteggia il primo venuto…
– Naturale, signora, i cani lo sentono; hanno istinto.
Mentre dico questo, ecco che il treno si ferma a Crivina. Dal marciapiede si sentono latrati e cani che si azzuffano. Bùbico fa per divincolarsi dalle mie braccia, ma io lo tengo ben stretto; lui abbaia accanito verso il finestrino del vagone. Il treno riparte, e Bùbico, volgendo la testa verso la parte da cui si sente sempre più lontana la zuffa dei suoi simili, latra tutto il tempo. Lo accarezzo per calmarlo. Quando non si sente più nulla, alza il muso verso il soffitto e comincia, tra le mie braccia, a ululare… Tra le mie braccia!
«Ah, Bùbico – dico tra me, accarezzandolo ben bene. – Che ti possano ammazzare!... Ti vedrei pelle per guanti!»
Ma Bùbico continua a ululare.
– Signora, – dico io, – fate male a tenere Bùbico così vicino e coperto così al caldo, può diventare idrofobo… Proprio così, qui fa troppo caldo.
E dicendo questo mi alzo con Bùbico tra le braccia e mi accosto al finestrino del vagone. Lo metto a terra accanto alla mammina e abbasso il vetro, appoggiandomi per respirare. Fuori, una notte nera come le mie idee.
– Fai bene! Se ne esca il fumo di sigaretta – dice la signora.
Imbocchiamo il ponte sulla Prahova… Mi volto, prendo una caramella e la mostro a Bùbico, che mi si avvicina dimenando con grazia la coda.
«Alla memoria di Plutone e del suo fedele Cerbero! – mi dico nel pensiero. – Giuro che hanno mentito quanti hanno cantato l’istinto dei cani! È una menzogna! Non esiste!»
Bùbico mi prende la caramella; lo riprendo in braccio e mi avvicino al finestrino, sollevandolo dritto verso l’apertura. L’aria fresca che gli arriva sul muso fa molto piacere a Bùbico… Tira fuori la lingua e respira profondamente.
– Che non ti sfugga dal finestrino!... Per l’amor d’Id…
Ma la mammina non fa in tempo a pronunciare per intero il santo nome del Creatore che Bùbico sparisce come una bianca colombella nella notte nera, indietro verso Bucarest, volando da Zambilica, probabilmente. Mi giro verso la signora e, mostrandole le mani vuote, grido disperato:
– Signora!
Un urlo!... La signora è impazzita!
– Presto, signora, il segnale d’allarme!
La conduco verso il segnale e le insegno come tirarlo. Affranta dal dolore, esegue il movimento con un’energia suprema. Il treno, stop, si ferma! Uno scossone terribile. Emozione generale tra i passeggeri.
– Chi? Chi ha dato l’allarme?
– La signora! – dico al personale del treno, indicando la signora svenuta.
Il treno si rimette in movimento. A Ploieşti la signora si è ripresa dallo svenimento. Affranta dalla sciagura, deve rispondere al verbale che viene redatto a suo carico per l’uso del segnale. Mentre, in mezzo ai passeggeri accalcati, la signora si lamenta, io mi accosto al suo orecchio e, con un ghigno diabolico, le sussurro chiaro e tondo:
– Signora! L’ho buttato io! Mettigli il sale sulla coda!
Lei sviene di nuovo… Io passo come un demonio tra la folla e sparisco nella notte nera…

Traduzione di Adriana Senatore



GRAN CALDO


Il termometro segna trentatré gradi Celsius all’ombra. Sotto il sole cocente una carrozza si ferma in Via della Pazienza, al numero 11 bis, verso le tre del pomeriggio. Un signore scende dalla vettura e a passo lento si avvicina alla vetrata d’ingresso e poggia il dito sul bottone del campanello. Suona una volta… niente; due volte, tre… ancora niente; poggia il dito sul bottone e non lo alza più… Infine, viene ad aprire un giovane domestico.
In tutta l’azione che seguirà i personaggi mantengono una calma imperturbabile, composta, dignitosa.
Il signore – Il signore è a casa?
Il domestico – Sì, ma mi ha ordinato di dire, se lo cerca qualcuno, che è andato in campagna.
S. – Tu digli che sono arrivato.
D.– Non posso, signore.
S. – Perché?
D. – La stanza è chiusa a chiave.
S. – Bussa, che ti apra.
D. – Ma si è preso la chiave quando è partito.
S. – È partito, quindi?
D. – No, signore, non è partito.
S. – Amico, sei… idiota!
D. – Ma no, signore.
S. – Dici che non è a casa.
D. – Sì che è a casa, signore.
S. – Ma non dicevi che è partito?
D. – No, signore, non è partito.
S. – Allora è a casa.
D. – Invece no, ma non è andato in campagna, è uscito e basta.
S. – Dove?
D.– In giro per la città.
S. – Dove?
D. – Per Bucarest.
S. ‒ Allora digli che sono venuto io.
D. – Come vi chiamate?
S. – A te che importa?
D. – Per dirglielo.
S. – Per dirgli cosa? Come fai a sapere cosa dirgli, se non ti ho detto cosa dirgli? Aspetta che prima te lo dica, non essere impaziente… Digli quando torna che l’ha cercato…
D. – Chi?
S. ‒ Io.
D. – Il vostro nome?
S. – Basta così! Lui mi conosce… Siamo amici…
D. – Bene, signore.
S. – Hai capito?
D. – Ho capito.
S. – Ah!... Digli che ci dobbiamo incontrare senz’altro.
D. – Dove?
S. – Lui lo sa… Venga senz’altro.
D. – Quando?
S. – Quando potrà.
D. – Molto bene.
S. – Hai capito?
D. – Ho capito.
S. – Ah!... E se vede il nostro amico…
D. – Quale amico?
S. – Lui lo sa!... Gli dica che non si è riusciti a concludere niente con l’affare di sua conoscenza, perché ho parlato con la persona… Non te lo scordare!
D. – Come potrei scordarmelo?
S. - …e dice che oramai è troppo tardi, se non è venuto per tempo; giacché, se veniva almeno qualche giorno prima, sarebbe stato diverso!... Forse si sarebbe potuto…Tienilo a mente!
D. – Lo tengo, signore!...
S. – …giacché non era ancora partita la zia della persona che è andata a lasciare un acconto al tutore dei minori, e lui ancora non lo sapeva, poiché non glielo aveva detto il nipote della signora, con cui aveva quasi concluso l’affare, se aveva ancora pazienza fino a lunedì sera, quando l’avvocato deve assolutamente tornare, perché è andato per la delimitazione dei confini di una proprietà; ma ora, purtroppo, è impossibile sotto vari punti di vista, che lui conosce…. Questo gli devi dire.
D. – Bene, signore.
Il signore va via. Il domestico sta per chiudere… Il signore ritorna.
S. – Ah!... Sai cosa? Non gli dire niente, perché forse non ti ricordi esattamente delle persone. Ripasso io stasera, diglielo… A che ora torna per cena il signor Costică?
D. – Quale signor Costică?
S. – Il tuo padrone.
D. – Quale padrone, signore?
S. – Il tuo…Il signor Costică.
D. – Il mio padrone non si chiama signor Costică; è proprietario…
S. – E cosa c’entra che è proprietario?
D. – Si chiama signor Popescu.
S. – E poi?
D. – Come, e poi?
S. – Ovvio…Popescu, proprietario…va bene…Popescu… e come?
D. – Non posso saperlo.
S. – Non si chiama Costică Popescu?
D. – No.
S. – Impossibile.
D. – Ma sì, signore.
S. – Allora lo vedi?
D. – Vedere cosa?
S. – Si chiama Costică?
D. – No, Mitică.
S. – Mitică?… Impossibile!... Che via è questa?
D. – Il numero 11 bis…
S. – Non si tratta dell’11 bis.
D. – Ha detto il signore che non vuole mettere il 13, che è un numero infausto.
S. – Non c’entra il 13… Io ti chiedo la via. Che via è questa?
D. – Via della Pazienza.
S. – Allora non è questa.
D. – Sì che è questa.
S. – Ma no.
D. – Ma sì.
S. – Io, invece, cerco Via della Sapienza, 11 bis, Via della Sapienza, il signor Costică Popescu.
D. – Ah, è così!
S. – Sì, è così.
D. – Allora non è qui.
S. – Benissimo.
Il signore va via e si dirige verso la carrozza. Il cocchiere dorme sul sedile. I cavalli dormono al timone.
Il signore – Vai, cocchiere!
Il cocchiere – Non libero… Ho un cliente, prego…
S. – Quale cliente?
C. – Io non sapere, prego…
S. – Dove l’hai preso?
C. – Laggiù, prego.
S. – E non sono io?
C. – Sì! È il signore, prego.
Il signore sale… Il cocchiere schiocca la frusta… I cavalli si svegliano e partono. Il signore si alza in piedi, vicino alla nuca del cocchiere.
S. ‒ Ascoltami; sai dov’è Via della Pazienza?
C.- Quella non la so, prego.
Passa una vecchia. Il signore ferma la carrozza.
Il signore – Per favore, signora, lo sai dov’è Via della Pazienza?
La vecchia – È questa, figlio mio.
S. – Macché!... È proprio rammollita!... Va avanti, cocchiere!
La carrozza riparte. Il signore fa segno di fermare all’angolo, vicino a un negozietto di coloniali. Sull’uscio dormicchia all’ombra un garzone con il grembiule verde.
Il signore – Giovanotto, che via è questa?
Il garzone – Via della Pazienza…
S. – Sei uno stupido!... Vai avanti, cocchiere!
La carrozza percorre un altro bel tratto di strada…Davanti al cancello di un grande cortile, se ne sta seduto su una panchina un sergente. Si è tolto gli stivali per rinfrescarsi i piedi. Il signore fa un segno; la carrozza si ferma.
Il signore – Sergente!
Il sergente – Agli ordini!
S. – Per favore, non saprebbe dov’è Via della Pazienza?
Ser. – È proprio questa.
S. – Impossibile.
Ser. – Ma sì, signore, è questa.
S. - …Casa del signor Popescu, all’11 bis…
Ser. – Allora sì, più su, il lato sinistro, una casa gialla, nel cortile, con la vetrata d’ingresso…
S. – Ah!... Allora il domestico è uno stupido!... Grazie… Gira, cocchiere!

Traduzione di Celestina Fanella

(n. 5, maggio 2022, anno XII)