MARIAN PAPAHAGI


NUMERO OMAGIALE 10/2019


In memoriam Marian Papahagi (1948-1999). Introduzione

L’idea di intessere una pagina italo-romena In memoriam Marian Papahagi (1948-1999), a vent’anni dalla sua fulminea scomparsa, volta a rievocare la personalità del grande Maestro e studioso, è nata in seguito a una conversazione tra due ex colleghe borsiste «Vasile Pârvan» e «Nicolae Iorga». Ma, siccome il numero delle immediate ed entusiaste adesioni ha fatto ampiamente superare i confini dell’iniziale pagina, siamo liete di potere dedicare l’intero numero di ottobre a una delle personalità di vaglia della Romania del secondo Novecento. Di Afrodita Cionchin e Monica Fekete.


Vasile Pârvan (1882-1927) e Marian Papahagi (1948-1999): vite parallele

Se la storia è, nelle parole diventate banalissime di Cicerone, «magistra vitae», Plutarco ci insegna che le vite degli uomini illustri sono spesso le migliori maestre di storia. L’incidere dei singoli individui sull’andamento della storia è spesso, pour le meilleur ou pour le pire, più importante delle relazioni economiche, militari o socio-politiche del momento. Riguardo alla storia dell’Accademia di Romania, l’istituzione non sarebbe esistita senza la volontà di Pârvan, e non sarebbe ridiventata una vera scuola romena a Roma senza lo sforzo di Marian Papahagi. Di Adrian Papahagi.



«M’insegnavate come l’uom s’etterna»

La prima immagine del Professore è quella dell’artefice, poiché Papahagi è stato l’ideatore e il creatore di un intero universo, suo e nostro, strictu sensu di italianistica e/o di romanistica e più latamente di cultura, un (ri)fondatore di scuola/e e d’istituzioni, autore di saggistica e critica letteraria, ricreatore di opere in traduzione, forgiatore di giovani menti più o meno pronte a far fronte alla valanga incandescente e magnetizzante di conoscenze, che faceva generosamente, e con un pizzico di divertita malizia, cadere loro addosso. Di Monica Fekete.



Papahagi traduttore di Montale, vincitore del Premio Valeri a Monselice

La traduzione è fedele alla lettera montaliana e al tempo stesso ne rende, spesso con esiti molto felici, la musica sommessa e talora zoppa. Versione ritmica, ma attenta alle deroghe continue della poesia di Montale alla regolarità metrica. L’essenziale lingua poetica romena della traduzione di Papahagi è in sintonia con quella di alcuni dei migliori poeti romeni contemporanei. Nella resa dell’ultima produzione montaliana Papahagi indovina regolarmente il tono giusto, un parlato raffinato, non esente da snobismi, che sbocca quasi sempre nell’ironia. Di Lorenzo Renzi.



Come lavora un grande traduttore. Papahagi e la lunga fedeltà a Dante

Nella traduzione della Commedia, l’intuizione e l’esplorazione del nesso fra suono e senso, fra semiotica e semantica, realizzano una restituzione piena della tessitura originaria. In quest’orizzonte si può cogliere la natura più autentica di Papahagi filologo europeo riconoscendo la misura dell'accoglienza, dell'ospitalità che ha propiziato in seno alla lingua romena moderna. In quest’esercizio di esegesi e di ermeneutica si può additare la più completa cifra di Papahagi come grande allievo-maestro della scuola filologica romana-romena di filologia romanza. Di Corrado Bologna.



Uno spirito rinascimentale del Novecento

Tutto quello che Papahagi ha realizzato nella sua breve ma intensa esistenza reca l’impronta dell’eccellenza che traspariva da ogni sua azione, da ogni suo gesto, un’eccellenza non ostentata, che non sopraffaceva quelli che gli erano accanto.  Un indimenticabile amico, una fiamma che non distruggeva bruciando, ma illuminava la strada da seguire. Affermando col Foscolo che «sol chi non lascia eredità d’affetti / poca gioia ha dell’urna», la separazione, tuttora sofferta da questo singolare amico, ci ritrova sempre sconsolati, ma ci fa anche capire il vero senso della parola Eternità. Di Helga Tepperberg.


Memoria degli uomini, memoria dei poeti…

Un saggio fondamentale come Intelectualitate şi poezie (1986) non avrebbe potuto scriverlo nessun altro studioso romeno, né un G. Călinescu né un A. Marino, uno studio ecdotico del livello di Filologie barbiană (nel volume Critica de atelier, 1983) non poteva uscire che dalla sua penna. Come modesto omaggio, oggi, alla sua memoria di studioso e alle nostre conversazioni di un tempo, mi piace offrire per questa silloge miscellanea una proposta di lettura che mette in qualche misura a frutto l’analisi intertestuale, a lui ampiamente congeniale. Di Bruno Mazzoni.



«Dall’attimo, dedotto…»: una traduzione. Alla memoria di Papahagi

La poesia di Ion Barbu è uno dei territori della letteratura romena del Novecento su cui il rigore critico e la passione ermeneutica di Papahagi si sono più felicemente esercitati. Attento al dettaglio minuto ma contemporaneamente aperto all’orizzonte del contesto ampio, entro il quale il senso del dettaglio si svela, l’illustre italianista metteva magistralmente a frutto la lezione continiana della critica delle varianti, appresa durante gli anni giovanili della formazione romana. Alla sua memoria una proposta di traduzione del geniale credo poetico professato da Ion Barbu. Di Mira Mocan.



Ricordando Marian...

Ho voluto, per una volta, auscultare le ragioni del cuore: ricordarlo per me, per l’incontro con me, in una sorta di epifania suscitata dal libro di Victor Stoichiță; per quello che abbiamo visto e discusso insieme, e per quel che non abbiamo potuto fare: un viaggio nei Carpazi con la sua guida, a cui mi aveva insistentemente invitato, ma che non potei accettare per gli impedimenti della vita. Ancora rimpiango quell’occasione mancata, per la conoscenza profonda che mi avrebbe dato della Romania, ma soprattutto per la possibilità di nuove intense conversazioni con lui. Di Roberto Antonelli.



Nel segno, e nel sogno, di Papahagi

Mi rendevo conto proprio a Cracovia che la prima porta europea me la stava aprendo Marian, con il suo carisma, il suo lavoro a tutto campo, che intrecciavano origini e contemporaneità, tradizione e modernità, scrittori europei e opere italiane. Era ed è per me esemplare quell’intelligenza diretta alla ricerca filologica e alla divulgazione critica, così da incoraggiare la formazione dei giovani italianisti con spirito comparativo europeo. L’attenzione di Marian nelle nostre conversazioni a Cracovia era stimolata da mille curiosità e incentivi di riflessione. Di Luigi Tassoni.



Da un Papahagi riformatore allo «scibile marianesco»

Luisa Valmarin illustra la figura di un Papahagi organizzatore e riformatore, la sua capacità d’impegnarsi in modo appassionato, ma anche di catalizzare intorno a sé le energie e gli entusiasmi degli altri, la sua immensa attività nel campo della ri-organizzazione culturale del suo paese, la sua vocazione di autentico ctitor. Mentre Cinzia Franchi ricorda un Papahagi che sapeva sciogliere con una battuta o con un sorriso tutta la sua conoscenza, e lo «scibile marianesco» diventava così non sterile sapere, bensì luogo di incontro in cui sentirsi persone e poter crescere.







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dall’Associazione Orizzonti Culturali Italo-Romeni.

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