Inchiesta esclusiva sul ruolo e l'immagine della letteratura ai nostri giorni (I)

La nostra rivista ha avviato, in esclusiva, un'ampia indagine sul ruolo e l'immagine della letteratura ai nostri giorni, tra decine di critici e scrittori italiani, nell’ambito delle serie Incontri critici, Scrittori per lo Strega e Femminile plurale, di cui proponiamo qui le prime articolate risultanze, divise in tre dense pagine: parte prima, parte seconda e parte terza. L'inchiesta è accompagnata da un saggio introduttivo a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato, consultabile qui.
In questa prima parte della nostra inchiesta riuniamo, in 17 interviste, i critici e gli studiosi che abbiamo finora ospitato nella serie Incontri critici: Giovanni Bitetto, Claudia Boscolo, Davide Brullo, Andrea Caterini, Donato Di Poce, Gianfranco Franchi, Fabio Francione, Filippo La Porta, Paolo Landi, Antonio Limoncelli, Daniela Marcheschi, Matteo Marchesini, Massimiliano Parente, Giacomo Raccis, Alberto Ravasio, Alessandro Raveggi, Vanni Santoni.


Dalla serie INCONTRI CRITICI


GIOVANNI BITETTO (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero 
d'un popolo»Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

La letteratura al giorno d'oggi vive un'esistenza clandestina. Non ha un vero impatto nella società, è uno strambo hobby per iniziati, come la numismatica o la costruzione di navi in bottiglia. Ciò che c'era di buono nella letteratura è stato sacrificato in nome dello storytelling, quell'algebra di narratologia a buon mercato che standardizza ogni prodotto culturale: un libro di successo non è diverso da una puntata di Masterchef o dal finale di stagione della serie tv di grido. Chi ha a cuore un certo tipo di letteratura non può far altro che mantenere vivo il fuoco, battere strade laterali, nella speranza che scavando nel vicolo cieco un giorno si sbocchi nuovamente sulla via principale.




CLAUDIA BOSCOLO (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo»Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Questa domanda è molto importante, perché il pensiero e l’opera di De Sanctis sono ancora oggi rilevanti, ma le condizioni storiche del paese sono radicalmente cambiate. De Sanctis parlava della funzione della letteratura in una Italia che aveva da poco realizzato l’unità nazionale, e che quindi aveva estremo bisogno di una base comune in cui riconoscersi, linguisticamente e culturalmente. Non si può dire lo stesso dell’Italia contemporanea, un paese che vive una lacerazione politica senza precedenti e in cui la dimensione culturale è afflitta da logiche editoriali neo-liberiste che inquinano il dibattito intellettuale e inficiano proprio quella valenza della letteratura come «sintesi organica» di anima e pensiero. Non esiste ora, se mai è esistito (la retorica risorgimentale sta attraversando una fase di ridimensionamento) un popolo italiano, e anche ammesso che si possa ancora parlare di «popolo», di certo non si riconosce in modo omogeneo in una letteratura nazionale (o nazional-popolare, se vogliamo usare ancora la categoria gramsciana). Sono invece riconoscibili diversi gruppi sociali, alcuni dei quali interessati a una propria auto-rappresentazione, altri indifferenti alla rappresentazione che di loro viene fornita dagli autori italiani. Prendiamo ad esempio la corrente di scrittura ecologista che sta conoscendo attualmente un momento fortunato. Si tratta per lo più di testi divulgativi, incentrati sulla retorica della natura come elemento salvifico e scritti solitamente da autori con un retroterra scientifico. Quale sintesi organica offre questa letteratura? Si rivolge a un ceto medio cittadino che ha scarsa dimestichezza con gli ambienti «naturali» e in generale con l’ecologia militante. Oppure pensiamo alla produzione che registra il picco massimo di vendite, cioè il romanzo che noi studiosi ancora facciamo ricadere nel sottogenere psicologico, vicende di famiglie borghesi all’interno delle quali avvengono drammi di diversa natura, a volte narrati seguendo alla lettera il precetto calviniano della leggerezza. Tutto ciò in un momento storico in cui andrebbe valorizzata la pesantezza estrema di una società letteralmente al collasso come quella italiana, con un tasso di disoccupazione giovanile drammatico e stipendi ancora troppo bassi in rapporto al costo della vita. Le condizioni nel paese sono mutate in peggio a partire dal percorso normativo che ha notevolmente ridotto le tutele del lavoro, con ripercussioni molto gravi sulla salute mentale dei più giovani che non trovano più un collante con le generazioni precedenti. Il fatto che l’editoria italiana non svolga più (come faceva nel secondo dopoguerra) la funzione storica di dare voce ad autori che rappresentino davvero lo spirito – notevolmente afflitto – della nazione, e inviti invece il grande pubblico a rifugiarsi in narrazioni di puro intrattenimento va in direzione contraria al pensiero di De Sanctis. Per rispondere alla domanda, il ruolo e la funzione della scrittura oggi dovrebbe essere di rappresentare, attraverso tutti i sottogeneri del romanzo e la produzione poetica, le trasformazioni epocali che stiamo vivendo, invitando i lettori a riflettere criticamente sulla loro condizione e sull’impatto che questo sistema economico sta avendo sulla sopravvivenza della specie e sull’ambiente che la ospita.


La lotta politica, l’adesione a una causa: i nostri tempi possono ospitare, a suo avviso, siffatti propositi di cambiamento sociale attraverso il canale della Letteratura?

La narrativa italiana contemporanea ha offerto nel primo decennio di questo secolo esempi virtuosi di impegno politico, ma nel secondo decennio la situazione è notevolmente cambiata, soprattutto in concomitanza con il degrado della politica e dell’informazione e la frammentazione di movimenti e di gruppi di appartenenza. Attualmente si registra una situazione paradossale, per cui in un frangente storico in cui sarebbe necessaria la massima compattezza degli intellettuali attorno a tematiche fondamentali come l’ambiente, la migrazione, il lavoro, l’uscita dalla marginalità di gruppi sociali prima invisibili, l’unica priorità sembra quella di costruire piccole conventicole. L'obiettivo di questa sottile e invisibile attività lobbistica è unicamente l’autopromozione presso premi importanti, primo su tutti Lo Strega, che è anche il più ambito per via dell’impressionante incremento delle vendite che fa registrare. Ma sono molto appetibili anche il premio Calvino (per gli esordienti) e il premio Campiello, finanziato da Confindustria Veneta, e quindi sostanzialmente un riconoscimento di valore intellettuale da parte della élite economica più potente del paese. È chiaro che se alcune questioni come la disabilità possono rientrare nella logica di mecenatismo che sottende al riconoscimento del valore letterario oggi predominante in Italia, altre, come il conflitto sociale attualmente in corso non rientrano nell’agenda politica di chi finanzia i premi e quindi rimangono fuori dallo spettro della rappresentazione. Possiamo quindi affermare che la letteratura italiana oggi rappresenta una nazione? Io sono del parere che questo compito di rimettere la lotta politica al centro delle narrazioni lo sta portando avanti una esigua minoranza di autori ed editori molto coraggiosi, ma che soffrono di scarsissima visibilità. Questo è un problema, perché la comunità di lettori a cui è negato l’accesso alle informazioni editoriali – obliterate dai media – ne esce di fatto penalizzata.



DAVIDE BRULLO (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

De Sanctis era un micidiale stilista: usava la letteratura per cementare una nazione altrimenti inesprimibile, un popolo autentico quanto una morgana. La ‘letteratura italiana’ non esiste: i poeti sommi quando sussurrano «Italia» lo fanno declamando una rovina, declinando una frattura, decimando ogni nazionalismo, ogni patria, parto di un boia. La Divina Commedia resta il viaggio, mirabolante, di un singolo; è l’apoteosi del pensiero di una personalità conturbante, che ancora ci impania in un incanto. Difficilmente ci si sente ‘rappresentati’ da un sonetto del Petrarca: egli, con impaziente potenza, inventa per noi le gamme dell’amare, la sua esperienza privata è tanto possente da privarci di ogni altra parola. Leopardi, poi, non fa che enfatizzare il massacro, mettendo l’indice nella ferita, rognosa. I poeti, i grandi – Ungaretti, Dino Campana, Eugenio Montale, Mario Luzi, Amelia Rosselli... – non danno pace, implicano la messa in discussione di tutto, trincerano nella rinuncia a soluzioni di becera politica: richiamano all’individuo, alla lingua singolare, impongono di voltare le spalle al mondo, di costruirsi il proprio tempo. La letteratura italiana, voglio dire, nasce da uno sfacelo, da uno iato, è scisma di lingue, dialetti, dilemmi, è un agguato, e ricama sulle ceneri; d’altronde, gli sciamani facevano sciamare i morti, mica vaghi consigli nei padiglioni del re. Sono i piccoli potentati, i poteri miseri, ad avere bisogno della ‘società’, della ‘società civile’, della ‘buona società’, dei ‘buoni cittadini’.




ANDREA CATERINI (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una "sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo". Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

De Sanctis viveva in una situazione sociale totalmente diversa. L’Italia, in quel momento, la si stava facendo. C’era il mito del Risorgimento e dell’unificazione. E anche la sua Storia della letteratura italiana, che ha delle pagine meravigliose, nascondeva una necessità unitaria, appunto. E quindi le sue scelte, il canone che ha costituito e che è rimasto immutato, era una scelta arbitraria ma anche necessaria da compiere. Quel canone era un fatto anche politico. La verità è che oggi viviamo in un tempo senza letteratura. Cosa voglio dire? Che la letteratura non ha alcuna influenza sulla vita sociale. Ma è un discorso troppo complesso, impossibile da esaurire in una risposta.




DONATO DI POCE (intervista integrale qui)

Taluni reputano che la Letteratura non prescinda dal tempo per interpretare semplicemente lo spirito della Storia universale e che, ciononostante, essa sia congiunta alla finalità delle mode e a qualsivoglia ambito del gusto. Quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo.

Scrivo per legittima difesa e per non morire e come ho scritto nella mia biografia «sono un ex poeta che gioca a scacchi per spaventare i critici…». Non sono un teorico della scrittura né un critico letterario. Mi interessa approfondire alcuni autori che sento vicini (Artaud, Bruno, Pasolini, Cioran, Flaiano, Ceronetti ecc.), sperimentare linguaggi e scrivere aforismi (poesismi) per essere più vicino alla mia anima e togliermi qualche sassolino dalle scarpe. A livello internazionale constato che continuiamo a subire una certa americanizzazione della cultura a scapito di tante realtà europee e arabe e asiatiche.




GIANFRANCO FRANCHI (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Un giorno, il Dalai Lama ha detto: «We have the power of truth. Chinese communists have the power of gun. In the long run, power of truth is much stronger than power of gun». Ecco: ti ho risposto. Poi c'è chi gioca a fare scrittura di intrattenimento, da salotto, da giardino, da centro sociale, da cameretta, da operetta, da propaganda ecc. Non ho niente contro di loro, ma ho una visione diversa da loro. Non sono come loro.



FABIO FRANCIONE (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

De Sanctis aveva dietro insegnamenti di una linguistica importante, la Scuola purista di Puoti, la tradizione napoletana, incontra da giovinetto Leopardi, studia Hegel, ha un background enorme, non che non esistessero delle letterature, pensiamo solamente alle grandi lezioni di Foscolo a Pavia, che aveva tentato una prima sistemazione, poi ce ne sono altri nel ’700 che non nomino perché è inutile nominarteli, però lui aveva una idea di nazione, un po’ come I promessi sposi che ti ho detto prima, tutti quegli uomini dell’800 cercheranno di rendere unito uno stato che non sarà mai, a mio avviso, unito. L’Italia è anche un’idea, una grandissima idea. La peculiarità dell’Italia è che ha mille sfaccettature, mille vizi e altrettante virtù, ed è questa la forza dell’Italia, se le persone capissero questa roba le cose andrebbero molto meglio. Non c’è mai stata tanta parola scritta come adesso, pensa soltanto ai whatsapp, ai tweet, al «cosa stai pensando» di facebook, a tutto il mondo del digitale, solamente che si è smaterializzata e può diventare veramente altro, non è più la penna, l’inchiostro, io ancora scrivo ogni tanto con la penna, ma molti miei colleghi usano solo il computer.




FILIPPO LA PORTA (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d’un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Francamente, oggi lascerei perdere la nazione. La costruzione della nazione è stata un momento emancipativo, in Europa e nell’800, ma ora le nazioni mi sembrano un fatto tribale, legato ai concetti di sangue e suolo, di radici e anima. La nazione è ovunque degenerata in nazionalismo, colonialismo, ecc. La scrittura oggi deve ricordarci che siamo tutti cittadini del mondo, impegnati in una lotta comune non tanto contro la «natura», come voleva Leopardi, ma contro il limite oscuro della nostra esistenza (malattia, invecchiamento, morte), tentando di renderlo meno drammatico per ciascuno di noi.


Per allargare la prospettiva, quali direzioni, mete o deviazioni vede attualmente caratterizzare il panorama letterario italiano e internazionale?

Domanda da un milione di euro! Dico solo che personalmente mi interessano i libri ibridi, le opere al confine tra i generi letterari, i saggi autobiografici, i memoir che hanno respiro narrativo, ad esempio, limitandoci alla Francia, Gli anni di Annie Ernaux o certe cose di Carrère. Ma in Italia ci sono i libri di Albinati, Scurati, Trevi, ecc. Poi certo ogni tanto esce un grande romanzo – in Italia ammiro Claudio Piersanti, Doninelli, e anche certo Ammaniti, abile affabulatore, o alcuni giovani promettenti come il napoletano Alessio Forgione, o Romana Petri, Piera Ventre, mentre uno scrittore come Mari è più stilista che vero narratore.



PAOLO LANDI (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

I libri che mi piacciono di più sono quelli che riescono a raccontarmi qualcosa del presente che viviamo. Come si sente l'autore e cosa prova non è interessante se non riesce a calarsi in una realtà che il lettore possa riconoscere o che magari non aveva considerato e, quindi, la scopre o la considera con uno sguardo differente.
C'è tutto un filone di letteratura che definirei «consolatoria», destinata a chi crede che un libro possa salvargli la vita, animata da buoni propositi e buone intenzioni che io riconosco dalle quarte di copertina e che evito accuratamente. Penso, al contrario, che la letteratura faccia bene quando fa male.


Per allargare la prospettiva, quali direzioni, mete o deviazioni vede attualmente caratterizzare il panorama letterario italiano e internazionale?

Mi sembra che domini sempre l’America, con i Franzen, i DeLillo, i Roth. Vedo imporsi la Spagna con scrittori importanti come Fernando Aramburu, Xavier Marías. La Francia, con Emanuel Carrère e Michel Houllebecq. Mi interessa come gli scrittori raccontano o non raccontano l'epoca digitale che stiamo vivendo, tra rifiuto della tecnologia e critica al sistema di prevaricazione e di controllo che sembra esercitare su di noi. Vedo un ritorno alla narrazione classica, senza sperimentalismi, puntando a storie avvincenti, che incatenino il lettore e questo mi piace molto, perché leggere narrativa deve essere anche un piacere.



ANTONIO LIMONCELLI (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Il presupposto è strettamente connesso all’organizzazione di una società che si costruisce sul pensiero, un organismo funzionale al bisogno che ha un popolo di evolversi. La sintesi tra possibilità di comunicare e necessità di informare sconvolge i sistemi di controllo ma non basta per cambiare il tempo della storia, i fatti narrati accelerano o rallentano seguendo il ritmo delle trasmissioni culturali ammessi all’agorà virtuale, la voce dello speaker elabora per lavoro slogan, pubblicizza la menzogna. Volevo dire che non esiste più, nel frangente storico che stiamo vivendo, una correlazione tra letteratura e fare, tra strumento e funzione. Gli autori che potrebbero avere un ruolo significativo non interessano più nessuno. Il lettore, sempre più raro, vuole solo intrattenersi e l’editoria, per sopravvivere, deve pubblicare chi paga. Se la letteratura fosse lo specchio della società in cui si sviluppa perderemmo l’universalità delle lettere. Noi stiamo vivendo l’assurdo di una guerra perché non esiste più il confronto, non riusciamo più a parlare perché ci mancano le parole di valore. Cosa si può scrivere a chi preferisce sparare anziché leggere?


Oggi, in tantissimi scrivono romanzi, tuttavia ben pochi posseggono la contezza dei suoi sviluppi, delle sue ragioni, altresì storiche e, specialmente, della sua necessità. Lo «scrivere» è davvero necessario?

Troppi scrittori di romanzi, troppe storie inutili. L’arte dovrebbe essere funzionale alla storia del pensiero; dipinto, crittogramma e segno dovrebbero essere sinergici allo sviluppo dell’individuo e delle società. Simbolismo e gestualità incartate, incarnato cellulosico, foglio cellulare incastrato nei mobili aviti, genetica funzionale alla genealogia, l’albero su cui mi sono arrampicato è quello che ha rami per ogni generazione; non escluderei nessuno dalla mia stirpe. Si dovrebbe assecondare il flusso di pensieri che proviene da ogni popolo senza alcuna divisione ideologica e per questo ribadisco, in ogni mio libro, che il popolo è unico, noi siamo l’umanità. Da ogni scritto deve trapelare quest’esigenza, le frasi devono seguire l’impeto di chi vuole che non ci siano disuguaglianze. Scrivere è necessario per capire chi siamo, per scoprire che l’esigenza d’esserci è identica a quella di ogni altro essere sulla Terra. Scrivere è necessario per un confronto meno labile, per documentare la nostra funzione di testimoni, per mostrare, in maniera indubbia, le nostre scelte. Scrivere è necessario per ancorare la nostra mente e le nostre emozioni alla storia di ogni essere vivente.



DANIELA MARCHESCHI (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo»Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Concordo con De Sanctis. La nostra letteratura, ancora tipicamente multilingue (si pensi al fenomeno della poesia dialettale), è lo specchio della multiculturalità costitutiva dell’identità italiana. Ogni italiano ha una identità nazionale, una regionale o delle città/stato di un tempo e, in certi casi, anche di più. Penso ad esempio a uno scrittore come Carmine Abate: italiano, calabrese e di cultura e lingua anche arbëreshë, perché discendente degli Albanesi che si sono stanziati nel sud Italia fra il XV e il XVIII secolo. È vissuto a lungo anche in Germania, inoltre.
Per il resto, nel dialogo platonico Fedro (§ LX), Socrate osserva che la scrittura è simile alla pittura. Scrivere significa in origine «incidere» la tavoletta d’argilla con lo stilo, «lasciare dei segni»: una traccia umana, eternare la memoria individuale e collettiva (si veda Jan Assmann). La scrittura come un’altra maniera per dare una rappresentazione visiva del mondo nella letteratura. Quest’ultima, al pari delle altre manifestazioni della cultura umana (la scienza, la filosofia, la biologia ecc.), è appunto un mezzo per acquisire conoscenza di sé e dei propri simili, del sentire umano, per formarsi strumenti di ragionamento diversi da quelli della medicina ad esempio, però necessari, complementari. E soprattutto per esprimere. Un mezzo anche per salvare sé stessi e il mondo, come insegna Dante. La scrittura, ancora, per lasciare una testimonianza indelebile, tramandare il ricordo, costruire così anche l’identità di una nazione. Oggi che la scuola appare sempre più in difficoltà a dare delle basi in primis di lettura, purtroppo si favorisce una idea debole di scrittura e di letteratura: ripiegata su sé stessa, autoreferenziale, o piena di cliché, tesa principalmente a fini commerciali o di spettacolo. La scrittura nella letteratura dovrebbe invece essere interrogazione sul Bene e il Male, sulla Verità: solo così può interessarci, riguardarci da vicino. Altrimenti perché leggere? Perché farci «incidere» dalle parole e «incidere» con le parole?




MATTEO MARCHESINI (intervista integrale qui)


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Difficile dirlo. Da oltre un secolo non abbiamo più la fiducia ottocentesca nel fatto che la Letteratura rappresenti la Storia; e nemmeno crediamo sul serio che la vicenda di un personaggio rispecchi quella di una società. Si sono spezzate le connessioni di cui – prima della catastrofe della Grande guerra – parlava il Forster di Casa Howard. Oggi la letteratura ha un peso sempre minore nella cultura generale. Questo può deprimere, ma scioglie anche tanti equivoci. La sua ‘irrilevanza’ ci ricorda che la letteratura è il contrario del potere – che è fatta anche per esprimere le verità naturalmente represse o rimosse nei rapporti sociali, nelle rappresentazioni mediatiche, e insomma nelle dimensioni della vita nelle quali si esige da noi un’autorappresentazione coerente e stilizzata – cioè una ‘cattiva letteratura’.




MASSIMILIANO PARENTE (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Non mi interessa nessuna letteratura che sia portatrice della narrazione di una nazione, a un popolo, a un’idea sociologica. La letteratura conta quando resiste nel tempo, quando tocca temi universali. Non leggiamo Dostoevskij perché ci parla della situazione della Russia del XIX secolo, e Marcel Proust ha scritto la Recherche durante la Prima Guerra mondiale, della quale nella Recherche non c’è quasi traccia. 



GIACOMO RACCIS (intervista integrale qui)

Oggi, in tantissimi scrivono romanzi e altrettanto numerosi sono i cosiddetti Premi letterari. In qual misura la produzione letteraria è pilotata dall’assecondare gusti e obiettivi di giurie al soldo del mercato?

Mi sembra una domanda retorica. Nessuno scrittore e nessuna scrittrice può ignorare che il proprio libro finirà in un circuito di condivisione che è sottoposto alle regole del mercato. Naturalmente poi cambiano le sensibilità di chi scrive, tanto nel comprendere il valore estetico (o artistico) di quanto ha scritto quanto nel cercare un più o meno grande apprezzamento da parte del pubblico (e nel cercare, quindi, un compromesso tra leggibilità e sperimentazione creativa). Non bisogna disprezzare necessariamente scrittori e scrittrici di alto consumo (soprattutto nell’accademia, si tende a liquidarli malamente): svolgono anche loro una funzione importante nel sistema letterario, quella di un intrattenimento che non deve essere necessariamente dozzinale. Da stigmatizzare sono, semmai, i tentativi di mistificazione: opere di intrattenimento che esibiscono contrassegni di valore per spacciarsi come buona letteratura. È il cosiddetto midcult che va smascherato. Beninteso, lasciando sempre la possibilità a chi lo desidera di sceglierlo, leggerlo e apprezzarlo; ma sapendo cosa ha in mano.


Lei ha studiato a lungo l’opera di Emilio Tadini, di cui ha curato una raccolta di testi critici sull’arte e la letteratura, Quando l’orologio si ferma il tempo ritorna a vivere. Scritti 1958-1970. Di qual natura è, oggi, in un tempo storico pregno di fusioni e denso di contaminazioni, il rapporto tra scrittura letteraria e arti visive?

La risposta a questa domanda è molto difficile. La dividerei in due parti, una che riguarda il modo in cui interagiscono i due media della letteratura e delle arti visive, e una che riguarda invece il rapporto tra chi scrive e chi lavora come artista visivo. Nel primo caso, viviamo in una stagione in cui le contaminazioni sono sempre più frequenti: l’iconotesto negli ultimi vent’anni è diventato un genere sempre più praticato e che offre soluzioni molto diverse tra loro, ma quasi sempre molto suggestive (pensiamo a Flashover di Giorgio Falco e Sabrina Ragucci, Le galanti di Filippo Tuena o Leggenda privata di Michele Mari, ma si potrebbe citare anche un romanzo come Il dono di saper vivere di Tommaso Pincio in cui la pittura di Caravaggio è centrale, anche se non «riportata»). Questo naturalmente non implica un’assidua frequentazione di chi scrive con il mondo dell’arte; al contrario, rispetto a qualche decennio fa (il mio riferimento sono gli anni Sessanta e Settanta in cui si colloca la parte più importante dell’attività di Tadini come critico d’arte e come artista), mi sembra che oggi le relazioni tra letterati e artisti siano più rare e di conseguenza anche i tentativi di accogliere il mondo dell’arte nella scrittura scarseggino (anche se non mancano del tutto: pensiamo a un romanzo recentissimo come La vita adulta di Andrea Inglese). Si potrebbero citare Tiziano Scarpa, Tommaso Pincio, appunto, che hanno una conoscenza diretta di quel contesto e talvolta la raccontano nei loro libri; ma siamo lontani dai tempi in cui scrittori e artisti condividevano il medesimo spazio di influenza, scambiandosi idee ed esperienze (si pensi, ad esempio, al rapporto di amicizia e vicinanza che un pittore come Fabrizio Clerici intrattenne con Sciascia, Consolo o Malerba, che tutti gli resero omaggio nei loro romanzi).




ALBERTO RAVASIO (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d’un popolo»Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Tempo fa seguivo un corso di Daniele Giglioli e lui appunto mostrava come il romanzo storico italiano nascesse dalla disperazione, dalla paralisi, dal trasformismo politico, dall’incomunicabilità tra le classi sociali. Il romanzo storico da Manzoni in avanti racconterebbe dell’impossibilità tutta italiana di cambiare le cose. Concordo ed estendo: il romanzo italiano testimonia anche dell’umiliazione dei suoi scrittori, quasi sempre esclusi, fraintesi, ridotti a straccioni, clown o straccioni clown. In questo senso, senza buttarla sul profetico, il romanzo soprattutto italiano indica la via verso il peggio, verso il peggio plausibile, perché a scrivere per davvero sono quasi sempre figure marginali, fuori dal discorso del potere, nelle cui vite i paradossi socioeconomici sono più estremi, più insanabili. La letteratura è l’unico luogo intellettuale che sfugge in parte a ogni predestinazione sociale, il giornalismo no, l’accademia no, il cinema manco a parlarne. La letteratura non ha centro, non ha padrone, non ha bisogno di niente se non di se stessa e di un abbonamento alla biblioteca, e di conseguenza può produrre l’inaudito, il paradosso, il vero e autentico politicamente scorretto, e qui mi riferisco a scrittori come Trevisan, Permunian, Busi, Moresco, Genna, Falco, non a 'stregati' o 'campiellati' vari.



ALESSANDRO RAVEGGI (intervista integrale qui)


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Viviamo una realtà scissa tra un Novecento bellicoso che l’attuale scellerata campagna d’invasione di Putin ci sta ripresentando – coi suoi genocidi, con l’atomica, con una dittatura bella e buona, con gli esodi di massa da Est – e una vita oramai rivolta sul web sempre più virtualizzato fino all’angosciante e parecchio soffocante prospettiva del Metaverso, dove una riproduzione di Roma divenuta NFT (la Roma del Metaverso) è stata appena pagata migliaia di dollari. Nel frattempo, la Natura, fra queste due polarità, si ribella, ci sgrida, perché noi l’abbiamo uccisa e devastata per troppo tempo. Quello che può fare la letteratura è farci vedere la complessità, la complessità che dobbiamo vivere a pieno, darci il brivido inquieto che siamo ancora vivi in mezzo a tutte queste rappresentazioni e catastrofi, che c’è sempre una possibilità di libertà, di felicità, sia rispetto a Putin sia rispetto al NFT di Roma o all’Antropocene. Per questo, l’approccio ‘borghese’ di alcuni romanzi contemporanei, assecondato a un comfort di scrittura sicura per il lettore, è davvero discutibile. Leggiamo più Fernandez Mallo, Saunders, Cohen, e meno autori condiscendenti, per favore!



VANNI SANTONI (intervista integrale qui)

Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo»Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Condivido la visione di De Santis, e aggiungerei che è pure il sistema nervoso della civiltà. Detto ciò, non credo che si debbano chiedere funzioni alla letteratura: quando ciò accade, si finisce inevitabilmente nell’ideologia, nella didattica o nella pedanteria. L’artista deve essere completamente libero. L’utilità eventuale di ciò che ha prodotto emergerà, se emergerà, da sola, dopo che l'opera è posta in esistenza.



A seguire la seconda e la terza parte della nostra inchiesta


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 7-8, luglio-agosto 2022, anno XII)