Inchiesta esclusiva sul ruolo e l'immagine della letteratura ai nostri giorni (II)

La nostra rivista ha avviato, in esclusiva, un'ampia indagine sul ruolo e l'immagine della letteratura ai nostri giorni, tra decine di critici e scrittori italiani, nell’ambito delle serie Incontri critici e Scrittori per lo Strega, di cui proponiamo qui le prime articolate risultanze, divise in tre dense pagine: parte prima, parte seconda e parte terza. L'inchiesta è accompagnata da un saggio introduttivo a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato, consultabile qui.
In questa seconda parte dell'inchiesta ospitiamo 22 scrittori: Marco Amerighi, Alessandro Bertante, Paolo Buchignani, Francesco Carofiglio, Silvia Cossu, Elisabetta Darida, Concetta D'Angeli, Costanza Di Quattro, Alessio Forgione, Veronica Galletta, Alberto Garlini, Simona Moraci, Sabatina Napolitano, Davide Orecchio, Rosario Palazzolo, Benedetta Palmieri, Alfredo Palomba, Veronica Raimo, Eduardo Savarese, Maria Rosaria Selo, Giusy Staropoli Calafati, Alessandro Zacurri.



Dalla serie SCRITTORI PER LO STREGA


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?


MARCO AMERIGHI (intervista integrale qui)

Scrivere per me è condurre le lettrici e i lettori in luoghi sconosciuti, permettendo loro di vestire panni non loro, guidandoli a immedesimarsi nell’altro. Un grande poeta del Seicento persiano diceva: «non si è degni di essere chiamati uomini finché non si prova il dolore dell’altro». Ecco, in un mondo di egoismi, prevaricazioni e guerre, il romanzo ricopre ancora una missione fondamentale: aiutarci a sentire quello che sente l’altro. Che sia la gioia più unica o il dolore più bruciante. Uscire da noi stessi, pensare agli altri. Non mi pare poco.



ALESSANDRO BERTANTE (intervista integrale qui)

La letteratura ormai è un mezzo marginale di promozione di istanze ideali e, come mi disse Saramago quando lo intervistai, la letteratura diventerà quello che è sempre stato, ovvero un meraviglioso passatempo per una élite di persone culturalmente elevate. Questa è la verità dei fatti secondo me e lo so perché da professore universitario ho a che fare con migliaia di studenti che vedono il libro in quanto tale, oggetto ostile a loro non vicino, sono troppo distratti dai dispositivi elettronici e dà comunque una forma di comunicazione più veloce.
La scrittura deve portare una riflessione, deve portare forse delle domande, deve portare alla complessità. Noi viviamo in un periodo in cui le risposte sono semplici, banali, veloci. La scrittura deve saper dare delle risposte complesse a delle tematiche complesse.



PAOLO BUCHIGNANI (intervista integrale qui)

Se uno scrittore è autentico e vive nel mondo, senza inseguire effimere mode o presunti gusti dei lettori, non credo debba fare particolari propositi: in modo diretto o indiretto, il frangente storico che vive verrà fuori da solo nella sua opera, anche se ambientata in un tempo lontano o in un mondo fantastico (mi viene in mente Kafka: cosa c’è di più vero dei suoi fantastici orrori?). L’arte, la letteratura possono essere, oggi, una forma di denuncia e di resistenza alla barbarie: guerre, dittature, nuove povertà, populismi potenzialmente totalitari, degrado ambientale ecc. Per quanto mi riguarda, detesto inseguire le mode. I critici hanno definito la mia prosa «senza tempo».



FRANCESCO CAROFIGLIO (intervista integrale qui)

É doppiamente rischioso rispondere alla sua domanda. Primo perché l’analisi di un passaggio storico chiede distanza, una lucidità che solo il tempo consente di acquisire. Secondo perché io stesso sono chiamato in causa, dalla sua domanda, come uno degli attori che si muovono in questo passaggio. Lo stesso concetto di popolo, di cui scrive De Santis, mi pare messo in crisi dalla nuova velocità, dalla globalizzazione, da un differente senso di appartenenza. Quello che significherà la scrittura in questi anni lo potranno dire soltanto i prossimi anni.



SILVIA COSSU (intervista integrale qui)

La letteratura, come il cinema e la televisione, può contribuire ad anestetizzare o risvegliare una società sempre meno dotata di strumenti critici e di analisi dei fenomeni. In questo senso la loro funzione è politica. La adempiono inserendosi in un solco consolidato che ne nutre il conformismo e la semplificazione, o rompendolo.



ELISABETTA DARIDA (intervista integrale qui)

Non vedo cambiamenti rispetto al passato, intendendo per passato il XIX secolo con lo sviluppo del romanzo moderno che oltre ai classici temi di amore e gesta d’arme ha indagato temi sociali o psicologici di maggior complessità.
Purtroppo – e i gravi fatti internazionali ne sono l’esempio lampante – i meccanismi che governano l’Uomo non mutano molto. Nel bene e anche nel male. E sono forse un po’ ingenui – per non dire ipocriti – il nostro sgomento e la nostra sorpresa dinnanzi a fatti sanguinosi che ci fanno esclamare «pensavo che una cosa del genere non si sarebbe mai più ripetuta!». Dai tempi del primo narratore i misfatti dell’Uomo non sono cambiati, quel che è cambiato è la nostra sensibilità su certi temi. E la scrittura continua oggi a esercitare la sua funzione fondamentale non solo di intrattenimento, ma anche di denuncia. Basti pensare al contributo che tanti scrittori hanno portato e portano alla causa della libertà con la loro lotta senza spargimento di sangue per una società democratica e più giusta. Alcuni anche pagando con la prigione o con la vita.
Da questo punto di vista, la diffusione delle tecnologie, la maggior facilità di comunicazione con il mondo e la reperibilità anche online di libri facilita il compito della scrittura, che è e resta un’arma potente per indagare l’animo umano e additarne le storture.




CONCETTA D'ANGELI (intervista integrale qui)

Non so quanto l’idea dello specchio sia un’immagine convincente e corrispondente a quello che intendo per rispecchiamento. In questa riserva agiscono forse due importanti elementi della mia formazione culturale, e cioè Freud e Marcel Proust. Non posso immaginare uno specchio che prescinda dall’accoglimento delle ombre, delle immagini in prospettiva, della memoria e delle sue chimere, cioè di quella dimensione dell’irrazionale o meglio dell’inconscio che sostanzia la percezione della nostra interiorità ma anche del mondo oggettivo e interviene perfino nei meccanismi della grande storia, nei fenomeni di razzismo, nella misoginia e nell’omofobia collettive, nello scatenare l’aggressività e le guerre. Una tale persuasione mi rende indecifrabile il faccia-a-faccia con la realtà corrente, ho sempre bisogno della messa in prospettiva, un’operazione nella quale il tempo, inteso come passato ma anche come distillatore di ricordi ed emozioni, ha un ruolo essenziale.



COSTANZA DI QUATTRO (intervista integrale qui)

Posto che la letteratura sia uno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

La scrittura ci aiuterà a comprendere un periodo disastroso per la storia del mondo. Sarà un faro al quale potere attingere. Credo che bisognerebbe ancorarsi alla cultura in generale e puntare nella bellezza delle cose, nel dettaglio delle cose. Solo così supereremo l’orrore e il dolore di questi anni. 


La lotta politica, l’adesione a una causa: i nostri tempi possono ospitare, a suo avviso, siffatti propositi di cambiamento sociale attraverso il canale della Letteratura?

C’è poco coraggio! Noto che un po’ tutti abbiamo smarrito il senso di coesione, di vicinanza a un ideale. È proprio l’idealismo a mancare. Idealismo che ha lasciato spazio a un assoluto soggettivismo. Il covid ci ha resi peggiori, la reclusione, il distanziamento hanno fatto sì che ognuno guardasse alla propria piccola realtà rifuggendo l’universale dal particolare. Abbiamo perso la fiducia nell’uomo e alla letteratura spetta il compito di creare un nuovo umanesimo. 




ALESSIO FORGIONE (intervista integrale qui)

Tra momento storico e letteratura esiste una differita. Almeno per me, l’oggetto, qualsiasi, che la letteratura ritrae, il soggetto o il momento storico, viene ritratto mediante il tempo. L’unico strumento della letteratura è il tempo, e se per dipingere serve un pennello, per fare della letteratura serve del tempo. Non esiste che un libro esca e sia immediatamente importante. Quelli non sono importanti, ma chiacchierati, ch’è diverso. Il tempo serve per scrivere e per capire cosa è stato scritto. Il tempo ci rivela i libri. A leggere Proust nel 1922, forse, ci si soffermava sugli arredi dei salotti. Oggi, invece, su come ha distrutto il concetto di tempo antecedente a lui.


Dalla sua prospettiva, come cambia la vita per mezzo della letteratura?

La vita è uno scherzo, mentre la letteratura è una cosa seria. La vita non ha senso e la letteratura non ne trova uno, ma almeno parla.




VERONICA GALLETTA (intervista integrale qui)

Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Quello di farle da specchio, appunto, e quando si riesce, per quei pochi che ci riescono, da anticipazione.


La lotta politica, l’adesione a una causa: i nostri tempi possono ospitare, a suo avviso, siffatti propositi di cambiamento sociale attraverso il canale della Letteratura?

Possono, certo, per chi riesce a scriverne in maniera consapevole e letteraria allo stesso tempo. Anche se la trovo un’operazione molto complessa, c’è bisogno per scriverne in maniera efficace e non retorica, di riuscire a lavorare con un occhio chiuso e uno aperto, un equilibrio che io, per esempio, non credo di avere. Detto questo, l’atto stesso della scrittura, nel suo essere così superato e allo stesso tempo immortale, è un atto politico. Sempre.




ALBERTO GARLINI (intervista integrale qui)

Oggi la verità non esiste, esiste una post verità che nasce da tutte le bolle narrative che popolano il mondo intorno a noi, in conflitto le une con le altre. Per ogni cosa che ci sembra vera, ci sono dieci opinioni contrarie che la mettono in discussione, impossibili da verificare. Non ci resta che tifare, con un cuore o un ‘mi piace’, per una verità al posto di un’altra. Siamo in una rete che destituisce di senso la verità e che la consente quasi solo in forma paranoica o patologica, come fede per una presa di posizione ‘razionale. Come sappiamo, la fede è in contrasto con la ragione, e viviamo continuamente in questo ossimoro. I social poi permettono un narcisismo di massa, che non credo abbia paragoni con il passato, in cui ogni opinione (per la semplice ragione che siamo noi a pensarla) è vera e ha diritto di esistere (anche se ovviamente non è nostra, ma è il calco delle tante opinioni conseguenti che per accumulo entrano nella nostra bolla): naturalmente, il grado di convinzione è legato al narcisismo e la chiamata alle armi della partigianeria social è condizionata dalla volgarità e dalla rabbia con cui è espressa. Comincio a pensare che gli algoritmi dei social non favoriscano l’intelligenza collettiva, bisognerebbe cercare di migliorarli in questo senso, altrimenti tra poco saluteremo quel poco che resta di aderenza alla realtà della narrazione. Ecco, credo proprio che la narrativa e la letteratura dovrebbero proprio servire a questo: e cioè a mettere in discussione la fede, la partecipazione emotiva, il narcisismo di massa e a cercare di ricalibrare la narrazione verso una maggiore aderenza alla realtà, nelle sue contraddizione ovviamente, mettendo dubbi ovunque, attraverso quelli che, insomma, sono stati i suoi strumenti secolari.



SIMONA MORACI (intervista integrale qui)

Attribuisco alla parola, e alla scrittura, un valore catartico. Le emozioni, la memoria, il desiderio, il futuro nella scrittura trovano una forma, una dimensione che apre le porte di universi altri. E in tali universi è possibile vivere, esplorare, raccontare ciò che si è e si prova. La società attuale è ‘veloce’, attraverso linguaggi che scarnificano la parola, si pensi ai social network, in cui l’immagine sovrasta e annichilisce ogni pensiero. Ritengo quindi che la scrittura, la lettura possano avere un valore salvifico, che porti a rallentare, a tornare nel tempo della riflessione e del pensiero.



SABATINA NAPOLITANO (intervista integrale qui)

Credo che citare De Sanctis sia un po’ anacronistico, come tentativo basti parlare di Siti, Simonetti, Mazzoni, Cortellessa. Immagino che la scrittura sia quel momento in cui da sdraiato ti ostini a non volerti più alzare. La scrittura è spesso un motivo personale, soggettivo, che finisce col diventare comune a una nazione, nel caso di identità cosmiche. Finisco con l’essere una scrittrice mite e in alcuni tratti molto spirituale, quindi sono tra le poche fortunate a poter dire di non avere avuto la poesia in prestito o la scrittura in prestito ma che sono connaturate alla mia identità, come alla mia natura. Diversamente dalla traduzione che non mi appartiene come campo, la scrittura mi fa sentire completa e riempie le mie attenzioni verso altri campi tendenti alla saggistica. La scrittura è una possibilità, un canale. C’è bisogno di una dedizione inaudita così come di un rispetto profondo.



DAVIDE ORECCHIO (intervista integrale qui)

Credo che scrittrici e scrittori, nei tempi di guerra e malattia che stiamo attraversando, dovrebbero porsi il compito di ripulire le parole dalla propaganda, di trovare le parole giuste per esprimere posizioni condivise e sentimenti che noi tutti proviamo. Le parole sono infangate da incantesimi e camuffamenti. La letteratura le può e deve nettare.




ROSARIO PALAZZOLO (intervista integrale qui)

Non ne ho idea. Siamo maledettamente nell’oggi, e chi tenta di analizzare il presente fa come il cartomante con il passato, o il prete con il futuro: procede per connessioni, al limite per desideri, mica per consapevolezze. È un atteggiamento che ammiro, ma che non so attuare. Per cui è da parecchio che ho smesso di relazionarmi con la mia attualità. Io la società me la invento, così da poter perdere a modo mio.



BENEDETTA PALMIERI (intervista integrale qui)

Attribuire preventivamente un ruolo e una funzione alla scrittura temo rischi di vincolarla, sottraendole parte del suo senso e della sua più profonda bellezza. Altro è riuscire a registrare ruoli e funzioni manifestatisi in determinati momenti storici, ma è una cosa che credo si possa fare a distanza. C’è però un’idea che mi suggestiona, ed è la diffusione di un approccio personale (quando non direttamente autobiografico) alla scrittura. Un approccio che non credo si debba attribuire a quella parte più deteriore di certo individualismo dei nostri tempi. A me sembra piuttosto il tentativo – in un mondo dai tratti stranianti e sgretolati – di fare appello al nostro primo filtro, al primo aggancio alla realtà, a ciò che possediamo per certo e che meglio possiamo conoscere, ossia noi stessi. 



ALFREDO PALOMBA (intervista integrale qui)

Teniamo conto che, per quel che vale, De Sanctis compila la sua Storia della letteratura italiana a meno di un decennio dall’unificazione, quando era forse più potente la necessità di sentirsi parte di un popolo che avesse un’«anima» e un «pensiero». Credo che oggi siamo molto più vicini a una forma di letteratura globalizzata, il che io leggo in termini di diversificazione e arricchimento. La società in cui viviamo non è quasi più relegata a confini e identità granitiche, se escludiamo dal conto dichiarazioni xenofobe fuori tempo massimo di cui pure la pubblica informazione è imbevuta. Per quanto riguarda il ruolo della scrittura, penso sia sempre lo stesso attraverso le epoche: per banale che sia, riflette il bisogno dell’uomo di riconoscersi, come singolo e in relazione alla comunità di appartenenza, e raccontarsi, testimoniando il proprio passaggio. Non è altro che l’evoluzione del gesto di lasciare un segno col carbone sulle pareti della propria caverna. Le società cambiano ma il ruolo degli scrittori – degli artisti in generale – resta pressappoco lo stesso.



VERONICA RAIMO (intervista integrale qui)

Rispetto alle parole di De Santcis mi verrebbe oggi da chiedermi cosa si intenda per popolo. Credo che ridiscutere di internazionalismo in una maniera diversa aiuterebbe anche a ridefinire le implicazioni politiche della letteratura e dell’arte. 



EDUARDO SAVARESE (intervista integrale qui)

La scrittura, oggi, mi pare uno dei più formidabili strumenti di consapevolezza dei processi storici che viviamo. Una fonte di interiorizzazione, anche, di processi che, temo, vengono vissuti sempre più velocemente, sempre più come tocchi rapidi sull’epidermide. La scrittura è il segnale di stop per focalizzare e assorbire il significato: l’antidoto all’istantaneità deresponsabilizzante e anestetizzante.



MARIA ROSARIA SELO (intervista integrale qui)

Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

La Storia, quella con la esse maiuscola, si fa iniziare per convenzione, con l’introduzione della scrittura. Infatti, è grazie alla scrittura che possiamo riconoscere la cultura dei popoli, i fatti che accadono e sono accaduti. Inoltre, permette di dare libero sfogo ai propri stati d’animo e di esprimere sentimenti ed emozioni. La scrittura, nel tempo, ha permesso alle varie generazioni di lasciare una traccia scritta delle proprie azioni, della propria cultura e delle proprie opinioni e, dunque, ci ha consentito di ricostruire più facilmente la loro storia.
La storia, oggi, è estremamente complessa. Stiamo attraversando una pandemia che lascia morte, disagi economici e dissidi. Il disastro ecologico, di cui l’uomo è il maggiore colpevole, sta lentamente distruggendo il pianeta. Inoltre, c’è il dramma della guerra in Russia, che sta devastando un’intera popolazione. Donne e bambini soli, uomini costretti a combattere. Quindi, scrivere è oltremodo una responsabilità, e la funzione fondamentale della scrittura, oggi, è quella di riportare i fatti come cronaca, ma anche attraverso un romanzo, in maniera esatta ed esaustiva, affinché resti la memoria di questo tempo che è senza dubbio il più difficile dopo la Seconda Guerra Mondiale.



In un tempo politico, sociale ed economico che grida l’impellente bisogno di tessere un dialogo con se stessi, la conflittualità interiore può essere lenita dalla scrittura?

La scrittura salva la vita, questo è risaputo, ma vero. Per quello che mi riguarda, per la solitudine che appartiene a chi scrive (solitudine necessaria per la stesura di un romanzo), il dialogo interiore è ininterrotto. Chi scrive ha una responsabilità. Le parole possono essere pericolose e la penna può e deve divenire piuma o spada, per scuotere, sensibilizzare o ammansire, rassicurare il lettore. Per fare questo, bisogna sì conoscere se stessi a fondo, avere quel conflitto che ti allarga la visione e insinua dubbi, ma conoscere anche gli altri, essere delicati e sensibili, comprendere, almeno si spera, come va il mondo.




GIUSY STAROPOLI CALAFATI (intervista integrale qui)

Ciò che stiamo vivendo, forse, è più di un frangente storico. È un tempo che non ha una collocazione precisa nella storia che accompagna l’uomo sin dalla Creazione. E forse è proprio per questo che la scrittura diventa una sorta di necessità, alla quale, se solo rinunciassimo, smetteremmo definitivamente di vivere. Scrivere oggi vuol dire salvare il domani. Serve lasciare tutto scritto. Ovunque. Anche sull’acqua, non si sa mai che le parole risucchiate da una bottiglia possano arrivare dall’altra parte della riva ed essere utili a qualcheduno. In quanto al De Sanctis, la sua affermazione, riferendomi all’Italia, credo potrebbe davvero dar vita all’articolo 140 della Costituzione: «la letteratura costituisce una sintesi organica dell'anima e del pensiero d’un popolo».



ALESSANDRO ZACCURI (intervista integrale qui)

Rivendicare e ampliare il sentimento della complessità, a partire dalla complessità della lingua, del lessico, della sintassi.



La prima parte della nostra inchiesta è consultabile qui.



A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 7-8, luglio-agosto 2022, anno XII)